Dagospia 22/11/2012, 22 novembre 2012
1 - TAYLORISMO ALLE VONGOLE
C’è da stropicciarsi gli occhi a leggere i giornali sull’accordo salariale in materia di produttività. Come al solito, il problema su cui ci si concentra è se la Cgil firma o non firma (tendenzialmente, ormai è sempre la seconda). E domani, al massimo, qualcuno si chiederà quanti voti muove (e verso dove) quello che dovrebbe essere il sindacato con più iscritti. Insomma, tutto in politica e tutto in chiave ideologica. Ma non logica. Eppure basterebbe fermarsi ai titoli di prima pagina, come questo in prima pagina sul Corriere delle banche creditrici: "Accordo sui salari senza la Cgil. Meno tasse sul lavoro se aumenta la produttività".
Giorgio NapolitanoGiorgio Napolitano
Non è una sintesi da titolazione scorretta, ma è proprio così: se aumenta la produttività, lo Stato mette a disposizione un paio di miliardi in termini di minor tassazione sul lavoro. E’ un’idea decisamente astuta: tu lavori di più (o vieni fatto lavorare meglio dalla tua azienda), e in cambio vedi più soldi netti in busta paga. L’azienda è contenta, tu sei contento e il governo sarà un po’ meno impopolare. Anche 50 euro in più sul netto, possono spostare qualche milione di voti (poi magari il Comune ti aumenta la Tarsu, ma tu non colleghi).
ANNA MARIA CANCELLIERI ROBERTO NAPOLETANO GIORGIO NAPOLITANOANNA MARIA CANCELLIERI ROBERTO NAPOLETANO GIORGIO NAPOLITANO
Ma la produttività aziendale a chi giova? Alle due parti aziendali. E perché una maggior produttività la deve pagare lo Stato? L’aumento di produttività è quindi un principio etico che merita una detassazione? Come fosse la tutela della salute o delle lavoratrici madre? Benissimo, ma allora è una scelta politica. E allora diciamolo che quello di ieri è un accordo politico, anziché "buttarla" in politica con la Cgil o non la Cgil. E che i datori di lavoro, o i lavoratori fancazzisti di oggi, guadagneranno dei soldi in più a spese di tutto il resto della comunità.