Anna Bandettini, la Repubblica 22/11/2012, 22 novembre 2012
SMETTERE? NON FA PER ME
[Franca Valeri]
È contenta perché finalmente tra qualche giorno partirà: una nuova tournée, sempre con Non tutto è risolto la sua ultima commedia dove recita anche, con Urbano Rattazzi e Licia Maglietta. Poi sta già scrivendo «una cosa nuova», anticipa, e la sua agenda è fitta di incontri pubblici dove ogni volta la accolgono giovani innamorati che la considerano un guru generazionale. A 92 anni Franca Valeri è ancora in marcia. «Smettere di lavorare? Non capisco come si possa», dice con incoercibile ottimismo. “Maestra” riconosciuta del teatro comico italiano, dove da più di sessant’anni recita, scrive, dirige spettacoli non batte la fiacca e accetta con bonario distacco i complimenti. «Quando la vita è lunga, mica puoi stare sempre con le mani in mano».
Perché no? Ci si riposa.
«Il solo pensiero di non far niente mi deprime, io ho ancora una malsana curiosità verso il mondo. Ma – a parte la salute, un fattore che mi ritengo fortunata di avere – ci sono ragioni lontane in questa mia voglia di andare avanti. E la prima è l’intelligenza di aver scelto una vita che difficilmente può annoiare».
Il teatro: lo trova ancora così appassionante?
«Certo, stai con la gente, la conosci. Io poi sono molto amata, i giovani sanno a memoria i miei pezzi di teatro, le battute di film come Parigi o cara... Nel teatro ho tanti amici che mi sostengono e divertono. L’errore è mettere assieme la gente anziana, infelice, tutta assieme. Quando hai un’età che potrebbe essere malinconica e hai intorno gente giovane, invece ti senti più giovane anche tu».
E l’altra ragione?
«La guerra. Quando hai sedici anni e vivi nei rifugi, non hai niente… Ecco, una giovinezza funestata da una guerra orrenda mi ha sviluppato una smania di recupero che mi dura ancora ».
Recupero di che?
«Di sogni, vita, di quello che volevo fare e che non si poteva fare allora. La mia famiglia, come tante di ebrei italiani, è stata tra quelle perseguitate. Da sfollata, è vero, io ho letto molto, Proust, Balzac e poi Wilde, Shakespeare... perché altro da fare non c’era. Ma la guerra è stata dura e mi ha insegnato che, superata quella esperienza, avrei potuto fare qualunque cosa. Mi ha insegnato a non rassegnarmi».
Come è una sua giornata di lavoro?
«Lavoro ogni giorno, la quotidianità è tutto. La mattina lo faccio a letto, perché ho mal di schiena ma soprattutto perché a letto è molto bello pensare. E buona parte del mio lavoro è pensare. Rimugino. Mi piace scrivere, ma non lo faccio finché non ho l’idea giusta. Poi c’è da fare il giornalino sui cani. E poi gli amici. Confesso che combinare una cena in un modesto ristorante con quattro cari amici è una delle cose più belle».
Le pesa il corpo che intanto invecchia, perde prontezza?
«Sì, il mal di schiena non passa, ma pazienza. So che se mi affatica fare un pezzo di strada c’è sempre qualcuno che mi offre il braccio per accompagnarmi».
Non sente di occupare un posto che potrebbe essere di un giovane?
«Proprio no. Da sempre i giovani devono farsi strada da soli, lottare come hanno fatto quelli di tutte le generazioni. E non mi pare che oggi ci sia una brutta giovinezza, c’è semmai una brutta mezza età con quegli uomini e donne che non vogliono invecchiare. I giovani invece sono attenti, curiosi, a me non fanno che chiedere chi ho conosciuto, chi ho incontrato... Forse la loro è una richiesta di aiuto morale, in un momento che è duro, meglio di quello che c’era prima, ma sempre duro. Spero solo che faccia loro l’effetto che ha fatto a me la guerra».