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 2012  novembre 22 Giovedì calendario

ADDIO A ROSE E VIOLETTE ECCO PERCHÉ AMORE NON FA PIÙ RIMA CON FIORE


AMORE e fiori non durano che una primavera scrisse Pierre de Ronsard, ma pure di quella memorabile stagione rischiamo di perdere traccia. Dove sono finiti i mazzi di violette che già da febbraio spandevano aria di risveglio, le margherite gialle, le giunchiglie, i non-ti-scordar-dime? E se vent’anni fa l’Italia dei petali era assai rinomata e dalle serre di Sanremo uscivano rose di ogni foggia come la famosa Baccarat, oggi le rosse dominatrici del mercato si chiamano Grand Prix e Red Naomi, e vengono coltivate intensivamente in Sudamerica e Africa. Ma alla guida del business c’è l’Olanda: «Tutti i fiori del mondo passano di lì. Gli olandesi producono, ma soprattutto appaltano in Ecuador, Guatemala, Colombia, Kenya, Sudafrica; hanno una formidabile organizzazione di trasporti » spiega Piergiovanni Navarro della direzione del Mercato dei Fiori di Ercolano, gestito dalla Cooperativa Masaniello. «La produzione italiana è invece calata del 30%. Da noi spostamenti e costi energetici sono diventati insostenibili, chiudono le serre riscaldate: anturium, lilium, rose erano gli assi portanti della nostra floricoltura. Abbiamo ripiegato su colture fredde e sono crollati i prezzi delle produzioni minori, vedi anemoni e ranuncoli». Le imprese si concentrano fra Lazio, Campania, Puglia; in Calabria resistono appena i crisantemi.
«In Italia s’importa al 60%, contro il 40% di prodotto locale» dice Marco Campanelli presidente dell’Associazione GrossFleur che riunisce i grossisti del Mercato dei Fiori di Roma. «Della violetta nemmeno si trova più il seme, il classico garofano è in ribasso; al nostro mercato se ne scaricavano 50mila la settimana, oggi 10mila e li fanno anche in Turchia e in Egitto. È il mercato che orienta il gusto della gente, non il contrario».
Una volta galanti, gli italiani oggi acquistano fiori principalmente per matrimoni, comunioni, funerali. In aggiunta alla crisi, è cambiata la moda: «Si usa il minimal che segue gli arredamenti, i fiori rifiniscono — spiega la fiorista di lunga tradizione familiare Anna Lucia Carbognin, presidente della Federfiori Lombardia — Raffiniamo tante varietà ma siamo arrivati a importare persino le peonie. Oltre ai diktat dall’estero noi esercenti soffriamo di concorrenza sleale; dagli abusivi alle imprese funebri».
Secondo Paolo Borelli, che col fratello Sergio è, a Roma, fioraio di terza generazione «il regresso è culturale, la gente i fiori non li conosce più. L’amarillo, i profumati fiori di pisello, non sanno cosa siano e non li comprano. Chiedono il tulipano singolo, da mettere nel vaso: per carità, anche un solo fiore può ingentilire un ambiente, ma sembra imparato da qualche rivista ». E sono tramontati sia i vecchi gentiluomini che i gesti clamorosi «come quel cliente che mi fece recapitare 360 rose, 7mila lire l’una». Commerciante esportatore di Sanremo, dice Paolo Rosselli: «In Germania e Scandinavia la famiglia media prevede un piccolo budget per i fiori, da noi quasi nessuno ne compra più per sé. A Sanremo — prosegue — «hanno resistito ranuncoli, mimosa e ginestra, oppure si produce verde, eucalyptus, ruscus, pitosforo: il resto è acqua passata. D’altronde, la floricoltura non gode nemmeno di contratti ad hoc: dati gli orari particolari le imprese vanno avanti a straordinari».
Secondo il commerciante Giorgio Masci «le tecnologie olandesi sono supportate dal governo, qui siamo rimasti coi carretti a mano». Produttore assieme al fratello Giovanni, Tiberio Benassi coltiva alle porte di Roma rinomati girasoli. «Ho 74 anni, l’attività viene da nostro padre ma i figli fanno altro. Se oggi dici “lavoro la terra” la fidanzata scappa. Fatichi all’aperto, ti alzi di notte per andare al mercato ».
«Sono affiliato a Interflora, registrano 10mila ordini l’anno» osserva Sergio Borelli. «Ma l’ago della bilancia rimane la rosa: è lei che ti fa la giornata». Quella nostrana oggi si ferma ai 60 cm di stelo; ecuadoregne, boliviane, colombiane in serie sono alte fra il metro e cinquanta e il metro e ottanta, perfette, cresciute spesso in quota, con ritmi di luce e calore regolari e, può darsi, abbondanti pesticidi. Nessuna però ha l’effluvio della nostra vecchia Cocktail, vermiglia e arancione, che si apriva come una rosa selvatica e faceva girar la testa: se sapessimo imparare da noi stessi, forse la guerra dei petali non finirebbe qui.