Roberto Mania, la Repubblica 22/11/2012, 22 novembre 2012
VIA I PALETTI SU ORARIO E MANSIONI UN COLPO AL CONTRATTO NAZIONALE
Un colpo al contratto nazionale. Questa volta, dopo essere stato per decenni la spina dorsale del sistema di relazioni industriali, il contratto nazionale rischia di essere relegato a un ruolo da comprimario. Il protagonista sarà il contratto aziendale e, nelle imprese di piccole dimensioni, quello territoriale. Questo perché gli aumenti retribuitivi dovranno essere il più possibile collegati all’andamento della produttività. E insieme se ne va in soffitta il sistema degli automatismi, che dalla scala mobile degli anni ‘70-‘80 all’indice Ipca (l’indice dei prezzi al consumo depurato dai prezzi dei prodotti petroliferi) dell’ultimo periodo ci hanno accompagnato fino ad oggi, passando per la lunga e controversa stagione della concertazione con il tasso di inflazione programmata.
SVOLTA E INCOGNITE
Si punta a girare pagina. Una svolta, ma con tante incognite. Prima tra tutte quella della Cgil. Come si potranno sottoscrivere i nuovi accordi se il sindacato più grande e più rappresentativo in tutti i settori non condivide le nuove regole del gioco? E le nuove regole saranno applicate subito o bisognerà aspettare la prossima tornata contrattuale, cioè tre anni, visto che l’attuale è già aperta?
Ma alla fine, se dovessero essere applicate le novità, il cambiamento ci sarà, eccome.
MINIMO CONTRATTUALE
Partiamo, allora, proprio dal contratto nazionale di ciascuna categoria. L’intesa dice che dovrà tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni, ma non c’è più alcun riferimento all’indice Ipca che dal 2009 (con l’accordo separato tra Confindustria, Cisl e Uil, ma non la Cgil) vincola gli aumenti. Nel nuovo protocollo c’è una formula molto più complessa, e certo meno stringente, secondo la quale la dinamica degli aumenti salariali dovrà essere «coerente con le tendenze generali dell’economia, del mercato del lavoro, del raffronto competitivo internazionale e gli andamenti specifici del settore». Saranno le parti a fissare i paletti, ciascuna categoria per sé. Molto dipenderà dai rapporti di forza.
Ma anche all’interno della medesima categoria i minimi retributivi potrebbero non essere uguali per tutti. L’accordo, infatti, prevede che una quota degli aumenti concordati a livello nazionale possa essere “spostata” a livello aziendale (o territoriale), collegandola alla produttività. Così facendo quell’aumento otterrebbe lo sconto fiscale (fino a 40 mila euro di reddito, si pagherà al posto dell’aliquota Irpef un’imposta secca del 10%). In questo modo cambieranno i minimi tra chi fa la contrattazione aziendale o territoriale (oggi riguarda un po’ meno del 30 per cento dei lavoratori) e chi ha solo il contratto nazionale.
ORARI E MANSIONI
E sempre all’interno delle aziende si potranno modificare, per via negoziale, gli orari di lavoro, la loro distribuzione, gli straordinari, le mansioni dei lavoratori e pure definire come utilizzare i nuovi strumenti tecnologici (telecamere o altro) per il
controllo della prestazione lavorativa.
LE MODIFICHE DI LEGGE
Questioni delicatissime che le parti - per quanto si intuisce punterebbero ad affrontare anche per superare i vincoli che oggi pone il Codice civile e lo stesso Statuto dei lavoratori. Sostanzialmente sembra riproporsi lo schema dell’“articolo 8” che l’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, introdusse, su richiesta della Fiat, per consentire ai contratti di lavoro di derogare alle disposizioni
di legge. Una volta trovato l’accordo, il legislatore dovrebbe intervenire a “sanare” la modifica. Ciò dovrebbe riguardare anche il demansionamento, oggi impossibile. Un lavoratore potrebbe vedersi ridotta la mansione e di conseguenza la retribuzione. È una richiesta che è venuta in particolare dal sistema delle banche alle prese con un processo di ristrutturazione per la gestione del quale non può più ricorrere ai prepensionamenti per effetto della legge Fornero.