Roberto Giardina, ItaliaOggi 21/11/2012, 21 novembre 2012
CLUB PER SOLI UOMINI A FRANCOFORTE
[Siccome le donne contano di più, il circolo conta sempre meno] –
Dovrebbe essere una tradizione londinese, secondo i pregiudizi: Phileas Fogg torna dal suo giro del mondo in ottanta giorni, grazie alla fantasia di Jules Verne, entra nel suo club londinese in compagnia della bella principessa indiana, e crolla un mondo. Non perché abbia vinto la scommessa, ma perché un essere di sesso femminile ha osato violare la roccaforte dell’orgoglio virile.
Oggi, il regno di Elisabetta non è più quello di una volta, forse grazie alla regina, o per colpa delle irrequiete principesse, da Margaret a Diana. I club non osano più lasciare fuori le signore, invece i signori uomini continuano a voler preservare i loro privilegi in Germania.
A Francoforte, la capitale finanziaria del continente, nella Siesmayerstrasse, sulla facciata di Villa Bonn, si può leggere la frase «Da uomo a uomo_». La palazzina che risale al 1897, una delle poche sopravvissute alle bombe, e alle speculazioni urbanistiche, ospita la Frankfurter Gesellschaft für Handel, Industrie und Wissenschaft, la società per il commercio, industria e scienza, che dovrebbero essere specialità riservate al cosiddetto sesso forte. Eppure, il club non risale all’era della regina Vittoria che, per la verità, essendo di sangue tedesco, amava la bella vita, il vino dolce, l’opera italiana, e gli uomini. Non obbligatoriamente in quest’ordine. Fu il mestiere di Queen a rovinarle il carattere. La fondazione risale al 1919, subito dopo la guerra, all’inizio della libertina Repubblica di Weimar. Ma ieri, come in gran parte oggi, banchieri, finanzieri, industriali e scienziati erano uomini. Dunque le signore rimasero fuori.
Si è tentato di cambiare lo statuto, e questo mese in una votazione sui 600 soci del club, 128 votarono per lo «ja» e 59 per il «nein». Gli altri prudentemente se ne restarono a casa, a evitare conflitti di coscienza e familiari. Allora è caduto il muro della misoginia? No, perché per una modifica dello statuto, come per la Costituzione, occorre una maggioranza dei due terzi dei votanti, cioè del 66%, e ci si è fermati al 62. Obiettivo mancato, sia pure di poco.
Una figuraccia per Francoforte, si lamentano i sostenitori dell’apertura. Ad Amburgo, Brema e Düsseldorf, in analoghi club, si è deciso di recente di adeguarsi ai tempi. E si dice che molti soci di vecchia data minaccino di dimettersi. Il nuovo console americano, Kevin C. Milas, che aveva chiesto di essere ammesso, fa sapere di non avere più interesse a entrare in un’associazione così antiquata, e antidemocratica. Il club è rimasto probabilmente l’ultimo al mondo a voler rimanere unisex.
A leggere l’elenco dei soci si trovano le personalità più importanti di Francoforte, e quindi di Germania, dal capo della Lufthansa Christoph Franz a Martin Blessing, capo della Commerzbank, dal direttore del museo cittadino Städel, Max Hollein, a direttori di giornali e di musei, professori universitari, avvocati e industriali.
La quota di iscrizione è in rapporto al reddito, in base alla dichiarazione fiscale (si dà per scontato che nessuno sia un evasore), e può arrivare a diverse migliaia di euro. Ci si riunisce una volta al mese, per una cena, a cui viene invitato un ospite che tiene un discorso. Alle 22, si chiude.
I problemi cominciarono quando, nel 1995, venne eletta sindaco la signora Petra Roth, cristiano-democratica, restata in carica per 17 anni, fino al giugno scorso. Si poteva tenere fuori la borgomastra? Molte altre donne sono alla testa di istituzioni e imprese cittadine, come Frau Eva Wunsch-Weber, che dirige la Volksbank, o Claudia Dillmann, direttrice del Filmmuseum, per finire con la vicecapo della Bundesbank Sabine Lautenschläger. Ora, i signori del Club cominciano ad avere paura di se stessi: ci si mette contro il «resto del mondo», con rischio per gli affari. Infine, basta controllare l’età dei membri per intuire il perché del «no»: il 70% è in pensione.