Claudio Neri, ItaliaOggi 20/11/2012, 20 novembre 2012
CIA IN RITARDO DI UNA RIVOLUZIONE
[Ora non deve colpire i terroristi ma capire dove va il mondo] –
È tempo di ripensare la Cia? Se lo chiede Walter Pincus in un editoriale pubblicato sul Washington Post. Pincus, giornalista specializzato in sicurezza nazionale, invita il presidente Obama a scegliere con grande attenzione il nuovo direttore della Cia e a ripensare il ruolo della principale agenzia di intelligence statunitense.
Negli ultimi dieci anni il contrasto al terrorismo qaedista ha costituito, infatti, la missione principale della Cia, un’attività cui l’Intelligence americana ha destinato le migliori e le più consistenti risorse umane e materiali.
Uno sforzo facilmente comprensibile, d’altronde, dato l’elevato livello della minaccia terroristica nel corso degli anni Novanta e Duemila. Eppure riuscire a rendere efficiente nel contro-terrorismo l’Intelligence community americana non è stato facile.
Nonostante fin dagli anni Novanta il terrorismo jihadista fosse diventato la minaccia principale per gli Stati Uniti, avendo colpito pesantemente sia in patria (primo attacco alle Torri Gemelle, 23 febbraio 1993, 6 morti) che all’estero (attacchi simultanei alle ambasciate di Nairobi e Dar es Salaam, 7 agosto 1998, 223 morti; attacco all’incrociatore Uss Cole, 12 ottobre 2000, 17 morti), è stato solo dopo lo choc dell’11 settembre, e peraltro con moltissime difficoltà, che si riuscì con successo a riorientare verso il contro-terrorismo un sistema di intelligence che, in modo quasi inerziale, era ancora organizzato secondo criteri e priorità propri della «guerra fredda». Fu questo fallimento nell’adeguare per tempo l’apparato di intelligence che rese cieca la sicurezza nazionale americana impedendole di sventare il complotto qaedista del 2001.
Il pericolo che grava sull’Intelligence community adesso è identico a quello degli anni Novanta: non riuscire a riorganizzarsi in tempo per affrontare le vere sfide strategiche.
In un contesto internazionale nel quale il terrorismo, pur presente e pericoloso, è molto meno aggressivo del passato è necessario, affermano Pincus e altri esperti di intelligence, che la Cia riveda le proprie priorità e torni ad essere ciò per cui è stata istituita: l’agenzia di intelligence strategica degli Stati Uniti.
È questo, difatti, storicamente il suo core business: raccogliere i segreti del mondo per supportare il processo decisionale di Washington piuttosto che individuare e uccidere terroristi.
Il pericolo, quindi, è che la Cia perda nuovamente il treno e, distratta dal contro-terrorismo (in particolare dagli sforzi tattici del cosiddetto «targeting»), non abbia risorse adeguate per svolgere attività di spionaggio ad alto valore strategico, penetrando, per esempio, i segreti nucleari di Teheran o quelli della leadership cinese, implementando grandi operazioni di influenza, analizzando correttamente i complessi scenari strategici. Sarebbe questo un nuovo fallimento dell’Intelligence americana. Più grave, forse, di quello dell’11 settembre perché solo gli stati dotati di un’efficiente intelligence strategica saranno in grado di competere con successo, politicamente ed economicamente, nel XXI secolo.
Attenzione, però, se questo è vero per la superpotenza statunitense lo è ancora di più per «medie-potenze» come l’Italia, strutturalmente dotate di minori risorse per operare sul piano internazionale e di minori spazi di manovra e per le quali disporre di una buona intelligence strategica, soprattutto per gli aspetti previsionali che normalmente la caratterizzano, è letteralmente vitale.