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 2012  novembre 21 Mercoledì calendario

«PERDONARE I TERRORISTI SERVE A DIVENTARE VIP»

[Massimo Coco, figlio del primo ucciso dalle Br, contesta i famigliari delle vittime con l’assoluzione facile. E attacca: la trattativa Stato-mafia? Peggio quella con i fanatici rossi] –
Ha scelto di pubblicare per ultimo, conformandosi alle indicazioni del cerimoniale del Quirinale. A una recente cerimonia di commemorazione delle vittime del terrorismo, Massimo Coco, figlio della prima vittima delle Br, è stato relegato in fondo alla sala.
Non fa parte di quelle che lui ha ribattezzato le viPtime, coloro che esibiscono «monolitica inclinazione verso il perdonismo». In Ricordare stanca. L’assassinio di mio padre e le altre ferite mai chiuse (Sperling & Kupfer, 250 pp., 16 euro), spiega che le vittime “Vip” diventano tali a causa del «”Fattore P”, ovvero Pianto + Perdono = Poltrone + Paradiso + Parlamento». Lui invece no, «mi dispiace, io non mi siedo a questa tavola, non lo voglio il primo settore, niente abbonamenti in platea vip; io preferisco rimanere in trincea con gli altri modelli base, rinuncio agli optional dorati della copertura di un partito, non ambisco al risarcimento ad personam del posticino tra gli scranni perché ho ancora l’illusione romantica che certi ruoli vadano assegnati a persone capaci e meritevoli, e non certo elargiti a titolo risarcitorio stile premio assicurativo».
ASSASSINI LIBERI
Del resto Coco non soddisfa nemmeno la condizione necessaria dei candidati alla notorietà, che consiste nel considerare definitivamente chiusa la stagione del terrorismo. L’autore ricorda a Libero che all’ipotesi del colpo di spugna «si era già accennato prima dei delitti D’Antona, Biagi e di altre azioni dinamitarde anarchiche». Ora, «non vorrei considerare sepolta l’esperienza criminale di fatti di questo tipo. Semmai il punto è come impedire che risorga». In realtà «il recente attentato a Genova contro Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo», consente di mettere in luce «un fenomeno criminale praticamente endemico, condiviso da tutte le democrazie anche avanzate, ma camaleontico».
Si nascondono e si mimetizzano i gruppi di fuoco. Tanto che la magistratura non è riuscita a trovare gli esecutori dell’attentato dell’8 giugno 1976 a Genova: «Non so chi abbia sparato a mio padre e all’agente di scorta Giovanni Saponara. Potrei dirlo, invece, ma non lo faccio, nel caso dell’autista Antioco Deiana. Alcuni testimoni oculari ritrattarono perché minacciati.Una persona che noi sapevamo pienamente coinvolta, anche per convincimento morale e ben suffragato dei magistrati, è stata assolta e perfino protetta dai pentiti. Vi furono condanne nei vari maxi-processi per Rocco Micaletto, Mario Moretti e Valerio Morucci, capi storici che rivendicavano politicamente l’assassinio, come fece nell’immediatezza Prospero Gallinari in un’aula di giustizia a fianco di Renato Curcio». Ma «alla luce di tutto questo non posso dire chi abbia premuto il grilletto». Eppure, «quello di mio padre e quello di Aldo Moro sono stati gli unici casi in cui era previsto l’annientamento di una scorta». Non sono decisioni prese al bar ma richiedono capacità organizzative e militari di alto livello. Così, proprio attraverso la mancata condanna dei colpevoli si riesce a comprendere come mai «siamo il Paese delle stragi irrisolte».
Nell’ombra, sono rimasti i fiancheggiatori del terrorismo, «quella famosa “zona grigia”calcolata in 400 mila persone dal senatore Ugo Pecchioli, membro della Commissione d’inchiesta sul caso Moro». All’interno di quell’area si ritrovano «tutti quelli che hanno tranquillamente protetto e spalleggiato, non hanno pagato, ma si sono sistemati ai vertici di società editoriali e della pubblica amministrazione. Ecco perché preferiscono la ricomposizione e il superamento, invece di fare i conti con la loro coscienza». È qui l’origine di quel «maledetto perdonismo, che non si capisce nemmeno su quali basi sia fondato. Invece, sul piano privato e individuale, ha la stessa dignità del rancore, del risentimento e dell’odio. Ma ovviamente non voglio sdoganare la vendetta».
LA ZONA GRIGIA
Rimane ancora una decisione da prendere: «Bisogna stabilire se per un assassino condannato per concorso in omicidio, il reinserimento dell’ex detenuto sia riciclaggio oppure rilancio sociale. Quando si consente a un Curcio o ad altri di scrivere su quotidiani nazionali o di esprimersi come opinionisti in tv, equivale a prendere un pedofilo uscito dal carcere e metterlo alla guida di uno scuolabus».
LA MAFIA E LE BR
Che i protagonisti della lotta armata godano di coperture è più che un sospetto. Diviene evidente quando si fa «un paragone fra il fenomeno terroristico e la mafia». Nell’analisi di Coco, «a parità di azione criminale, si assiste a una reazione opposta. La trattativa fra Stato e mafia, esecrata come il peggiore dei mali, nel caso del terrorismo è stata caldeggiata e vista come la via privilegiata. Nell’opinione di qualcuno sembrava che anche mio padre, opponendosi alla liberazione dei detenuti della banda XXII ottobre, si fosse quasi andato a cercare la condanna a morte». Eppure, la domanda a cui rispondere ha già in sé una prima risposta: «Qualcuno vorrebbe Totò Riina come segretario d’Aula in parlamento, al posto di Sergio D’Elia?».
A cui corrisponde «l’abbandono in cui le istituzioni e la società civile hanno lasciato tutti noi, come fossimo una sorta di parafulmine della malasorte. Il ritornello: “quegli anni sono finiti e quell’esperienza è irripetibile”, funziona come una sorta di esorcizzazione del pericolo, nella speranza di non rivivere quel periodo tragico, ma poi finisce anche per seppellire le responsabilità Non certo il dolore.