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 2012  novembre 21 Mercoledì calendario

IN CONGO LA GUERRA DIMENTICATA SCAPPANO ANCHE I CASCHI BLU [I

ribelli prendono la città di Goma dopo la fuga dell’esercito regolare sostenuto dall’Onu. L’appello di un cooperante italiano: «L’Ambasciata ci aiuti»] –
Tutti con gli occhi puntati su Gaza. Tregua sì, tregua no. Ma ci sono altre guerre, ben più sanguinarie, che non scaldano gli animi dei grandi mass media. Stiamo parlando del Congo, terra sfruttata anche dopo l’epoca coloniale, soprattutto per gli enormi tesori minerari e la libertà di trafficare soldi e non solo. Il tutto con l’Onu troppo debole per farsi rispettare. Com’è accaduto ieri a Goma, città a sud del Congo, a confine col Ruanda. I ribelli del gruppo M23, che sarebbero sostenuti proprio dal Ruanda, hanno rivendicato di aver preso il controllo della città congolese che conta un milione di abitanti, senza che i peacekeeper delle Nazioni Unite li bloccassero.
I guerriglieri sono entrati in città dopo giorni di scontri coi soldati congolesi sostenuti dall’Onu, scontri che hanno provocato la fuga di decine di migliaia di residenti e migliaia di morti. Bambini compresi. Un dirigente Onu ha detto all’agenzia Reuters che i caschi blu della forza internazionale hanno abbandonato la difesa di Goma dopo che i soldati congolesi sono stati evacuati dall’area. Un testimone ha riferito, sempre alla Reuters, di aver visto ribelli con armi pesanti camminare per le strade di Goma, vicino al confine con il Ruanda, davanti ai blindati dell’Onu.
E ora la paura è che si possa assistere a uno scontro sanguinoso stile Tutsi e Hutu in Ruanda. Ricordate le tremende immagini di cadaveri insanguinati abbandonati del 1994? Con l’Occidente immobile, incapace di intervenire? Beh, c’è qualcosa di simile in quello che sta accadendo a sud del Congo.
Gli Stati Uniti, pochi giorni fa, hanno lanciato l’allarme. Poi silenzio. Fino a ieri. La presa di Goma ha anche risvegliato le autorità italiane. Il Ministero degli Esteri guidato da Giulio Terzi, ha fatto sapere di essere in contatto, attraverso l’ambasciata d’Italia a Kinshasa, con i connazionali presenti nell’area, per la maggior parte religiosi. Altri italiani, per lo più cooperanti, seguendo le indicazioni dell’Ambasciata, si sono allontanati dalla zona nei giorni scorsi. Sempre l’Ambasciata ha, allo stesso tempo, richiesto l’intervento diretto dei mezzi della Forza di Pace delle Nazioni Unite presenti nell’area, per procedere al recupero dei connazionali più esposti, in particolare quelli presenti nella Missione dei Caracciolini. Al momento sono quindici, su un totale di circa 50 tra laici e religiosi, i connazionali che hanno chiesto ed ottenuto assistenza.
Belle parole, che però non corrispondono tanto alla realtà: è il caso di Eddy Zamperlin, coordinatore di un progetto per l’associazione «Amici dei Bambini». Sabato sera l’Onu ha detto ai cooperanti di radunarsi alla base. Lui è andato, ma per il soggiorno nella base le Ong non avevano acqua e cibo garantiti. Solo uno spazio dove stare. Così dopo un giorno senza cibo alla base gli hanno detto «preferiamo che tu vada alla frontiera piuttosto che qui, se hai problemi poi ti riportiamo alla base». Lui è andato, ma senza passaporto. Per fortuna una ragazza italiana che abita in Ruanda l’ha aiutato, altrimenti avrebbe rischiato la vita in mano ai ribelli dell’M23. E dire che l’ambasciatore si era mosso per aiutarlo a passare... Se fosse restato alla base Onu, Zamperlin sarebbe diventato uno sfollato. In queste ore dovrebbe essere a Ruhengeri, poco dopo il confine ruandese, in marcia verso Kigali. Nella speranza di tornare a Kinshasa domani e riprendere il passaporto.
Raccontata così sembra una cosa semplice: ma in quelle zone non c’è niente che funzioni come dovrebbe. A cominciare dai governi locali, dalle diplomazie, dalle Nazioni Unite. Zamperlin “Budiengu”(così è stato ribattezzato dalle autorità congolesi) ha dovuto arrangiarsi per salvarsi dagli spari e dalle violenze, senza contare l’ebola. Un’odissea che non riusciamo a immaginare perché tutto il giorno, in tv, si vedono solo i palestinesi di Gaza. Ma non si scandalizzano i ministri Riccardi o Terzi? E la sinistra che ama tanto l’Africa? Il caso di Zamperlin è emblematico: in questi momenti servirebbero i fatti, più che le solite belle parole. Soprattutto per gli africani.