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 2012  novembre 19 Lunedì calendario

POLILLO, IL GIANBURRASCA TRADITO DA NAPOLITANO

[Il sottosegretario dell’Economia fa ammattire il governo Nel ’92 da grand commis ruppe col futuro capo dello Stato] –
Supremo divertimento del sotto­segretario all’Economia, Gian­franco Polillo, è prendere tutto sottogamba. In mezzo agli imbalsama­ti colleghi del governo tecnico, sembra un vispo scoiattolo intrappolato tra le mummie di una tomba egizia. Nono­stante abbia 68 anni, le studia tutte co­me un ragazzino per fare uscire dai gan­gheri Grilli, Fornero e gli altri sepolcri imbiancati con i quali passa la giorna­ta. Polillo è il più ridanciano tra i politici transitati per l’austero ministero del­l’Economia. Di indole ilare e superficia­le, dice cavolate con la stessa frequen­za con cui Di Pietro sbaglia i congiunti­vi. E, come lui, è diventato un fenome­no da circo che tutte le tv si contendo­no. È continuamente ospite di talk show nei quali parla a capriccio del­l’universo mondo. In un anno, ne ha sparate di ogni tipo tenendo noi avvinti al teleschermo in attesa della polillata del giorno e sulle spine gli uffici stampa ministeriali pronti a smentirlo in diret­ta, com’è già avvenuto.
Quando Elsa Fornero si commosse al pensiero dei pensionati che aveva gettati sul lastrico, Gianfranco la definì pubblicamente «fontana che piange». Fornero si offese e Polillo si fece un no­me. Un’altra volta se la prese con i sin­dacati Fiat perché - così disse - faceva­no da paravento agli operai che mari­navano il lavoro per guardare il calcio in tv. La polemica rese Gianfranco an­cora più famoso, moltiplicandone le apparizioni tv. Durante una di queste, propose di rinunciare a una settimana di ferie per produrre di più e aumenta­re di un punto il Pil. Iniziativa tutta sua, mai esaminata dal governo, che fu re­spinta al mittente dicendogli che dava i numeri. La fama di Polillo crebbe anco­ra e si avvicinò a quella di Vittorio Sgar­bi. Il giorno stesso in cui scoppiò il pa­sticcio forneriano degli esodati, Polillo andò in tv consigliando gli interessati a fare come niente fosse, riprendersi il posto lasciato o chiedere al giudice di reintegrarli nei loro diritti. In fondo non aveva torto, ma politicamente era distruttivo perché sbugiardava le deci­sioni del governo e metteva a nudo la pochezza dimostrata nell’occasione dalla signora Fornero.Com’era sconta­to, Elsa si inviperì e chiese la testa del sottosegretario. Monti, che pure consi­derava Polillo uno scocciatore, glie­l’avrebbe data volentieri, ma non lo fe­ce. Infatti, rischiava di irrigidire il cen­trodestra, mettendo a rischio il suo ga­binetto.
Gianfranco, a parole, è nel governo come indipendente. In realtà, è stato raccomandato da Fabrizio Cicchitto, capogruppo dei deputati del Pdl. Lo ha raccontato lui stesso, con la simpatica spavalderia di chi non ha niente da na­scondere e poco da perdere. Alla do­manda: «Com’è finito con Monti?», ha risposto: «Ho dato il curriculum a Cic­chitto. Lui l’ha dato a Monti, che non co­noscevo. Tutto qui». Con la stessa fac­cia tosta, per dirvi il carattere, ha am­messo di intascare ventimila euro al mese di pensione, aggiungendo però che si concede «meno ferie di un me­talmeccanico ». Prima di rivelarvi com’è che Polillo sia nel centrodestra e delle sue giravol­te politiche, fatemi raccontare un’altra gaffe , che trovo particolarmente indica­tiva della sua personalità. Poco tempo fa, su La7, il sottosegretario dialogò con un piccolo imprenditore che adde­bitava al governo i propri guai. Mentre si sfogava, l’industriale gli allungò un mazzo di chiavi dicendo amaramente: «Domani i miei negozi li aprite voi». Po­lillo, invece di capire lo stato d’animo dell’interlocutore e credendosi come sempre il più furbo, volle prenderlo in castagna. Indicò le chiavi e disse: «Ve­do cose da Suv ». Ossia: sei un riccone e ti lamenti! Ma l’altro, fulmineo: «Vera­mente, quelle sono le chiavi dell’anti­furto». Gran risata in studio, alla quale, con invidiabile faccia di bronzo, si unì Gianfranco che qualsiasi brutta figura faccia, nulla riesce a mortificare.
Polillo è nato e vissuto a Roma, dove si è laureato in Economia con Federico Caffè. I suoi titoli accademici di econo­mista finiscono qui. Un giorno del 1979 si vide passeggiare in Transatlantico un giovanottone dinoccolato, capelli scuri, baffoni neri e un vocione dall’in­flessione romana. Era lo stesso Gian­franco, che oggi vediamo con i capelli bianchi e sbaffato, fresco vincitore del concorso per funzionario alla Camera. Gli fu affidata la commissione Indu­stria e anche in seguito restò nel recin­to delle commissioni economiche.
Si capì subito che si considerava su­periore ai compiti affidati e che perciò li affrontava con la mano sinistra, finen­do così per prendere qualche cantona­ta. Senza essere spocchioso, invidioso o carrierista era tuttavia convinto che nessuno capisse niente, salvo lui. «Stai ancora a da’ retta ai giornali? Mo’ t’o di­co io come stanno le cose», e sdottora­va­ col tono scanzonato di chi cuoce bra­ciole al barbecue. Era politicamente ca­ratterizzato. Iscritto al Pci, era respon­sabile della corrente romana dei «mi­glioristi », il cui leader era Giorgio Napo­litano, e scriveva su Politica ed Econo­mia , la rivista del Cespe, il Centro studi economici del partito. Trascorse così gli anni Ottanta, accumulando i diritti alla celestiale pensione di cui gode og­gi. Quando nel 1992 Napolitano diven­ne presidente della Camera, Gianfran­co pensò che lo avrebbe fatto capo del­la segreteria particolare. Chi meglio di lui che ne guidava la corrente? Ma Na­politano si consigliò con i compagni, Luciano Violante in primis , e la scelta cadde su un altro funzionario, neppu­re comunista, Maurizio Meschino, vici­no alla Uil. Per Polillo fu lo schiaffo che gli cambiò la vita. Lasciò il Pci e si avvici­nò a Craxi. Neanche il tempo di accli­matarsi che il Psi e il suo capo furono travolti da Tangentopoli. Fu così che il Nostro, al seguito dei socialisti che scelsero il centrodestra - Cicchit­to, Caldoro, Brunetta, Tremonti, Sacconi ecc ­- entrò nell’orbita del Cav. Gianfranco divenne un frenetico consigliere di ex socialisti. Il più con­sigliato è stato Fabrizio Cicchitto. Gli altri lo hanno preso a pic­cole dosi. Con il governo Berlusconi, 2001-2006, si fece spostare dalla Came­ra a Palazzo Chigi. Si offrì come suggeri­tore a Renato Brunetta che era il sugge­ritore del premier, poi passò nella se­greteria di Giulio Tremonti, ministro dell’Economia, che però lo rispedì in breve a Palazzo Chigi. Fu nominato ca­po del Dipartimento economico della presidenza. Ne fece un pulpito da cui rovesciò proclami improvvisati sullo stato dell’universo. Ispirato dalla soli­ta avventatezza, la fece grossa. Criticò i conteggi tremontiani della Finanzia­ria 2003, come se le cifre fossero trucca­te. C’era poco di vero, ma offrì il destro al vice presidente del Consiglio, Gian­fry Fini, che detestava Tremonti, di chiederne la cacciata. Il che avvenne. Fu il suo maggiore exploit.
Sul suo passato, resta da aggiungere che di recente da socialista è diventato vicesegretario repubblicano. Per quan­to riguarda il futuro, non resta invece che incrociare le dita.