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 2012  novembre 18 Domenica calendario

IN PRIGIONE SENZA PROVE, UN APPELLO PER SALVARE CHICO FORTI

[L’imprenditore italiano condannato all’ergastolo negli Usa. Servono fondi per ottenere la revisione del processo] –
Una battaglia durata dodici anni e chi la combatte non si è arreso. Chico Forti, imprenditore trentino, campio­ne di windsurf è in carcere a Miami dal 2000 dopo esser stato giudicato colpe­vole di omicidio. Lui, che si è sempre dichiarato innocente, da sempre ha potuto può contare sull’attività inces­sante di parenti, amici ma da adesso anche del governo nella persona del ministro degli Esteri Giulio Terzi: ieri hanno presentato l’ultima iniziativa al Circolo della Stampa, «Una chance per Chico».
L’obbiettivo è quello di raccogliere fondi per la richiesta di revisione del processo, terminato con una condan­na a vita, che dovrebbe essere presen­tata entro fine anno. «Come minimo -quantifica l’avvocato Roberta Bruzzo­ne - servono 300mila euro». Una cifra considerevole anche perché la fami­glia in questi anni ha già speso molto. E per un uomo che a detta di molti è ingalera dopo un procedimento discuti­bile: «L’idea che mi sono fatta- ha spie­gato Emma Bonino- è che si tratti di un caso abbastanza manifesto di mala giustizia: nella procedura ci sono graviomissioni e la sentenza fa riferimento più alle sensazioni che a una prova spe­cifica ». Dale Pike è l’uomo che per l’ac­cusa statunitense Forti avrebbe ucci­so dopo aver tentato di truffare il padre con l’acquisto di un hotel a Ibiza.
La struttura però secondo i difensori dell’italiano non sarebbe nemmeno appartenuta alla famiglia Pike. E sareb­be stata questa a cercare di raggirare il nostro connazionale. Ma questa non è l’unica stortura che i legali della difesa hanno riscontrato: «Per citarne una ­racconta Bruzzone- Chico testimoniò di essersi fermato a un’area di servizio dove Dale Pike aveva telefonato da una cabina: per dimostrare che menti­va la polizia portò i tabulati della cabi­na, peccato che il giorno fosse giusto, ma era quello dell’anno dopo».
E questo fatto, quelli più gravi l’avvo­catopreferisce tenerli segreti fino al processo, sarebbe solo una dei proble­mi su come sono state condotte le inda­gini. Nel corso della conferenza Red Ronnie in un messaggio video ha solle­vato anche il dubbio che la polizia loca­le abbia svolto l’inchiesta in modo di­scutibile anche per un rancore pre­gresso nei confronti di Forti: lui era sta­to anche autore de «Il sorriso della me­dusa », un film-documentario sull’ omicidio Versace.
E i poliziotti americani non ne usci­vano molto bene. Sono tanti insomma gli elementi a favore dell’innocenza di quello che l’ex assessore Giovanni Ter­zi ha definito come «un ragazzo che si è trovato nel mezzo di questa terribile vicenda».
Compreso il fatto che la difesa, all’ap­parenza almeno disattenta, nel pro­cesso pare sia stata «distratta» da que­stioni di denaro: «Quando il grosso stu­dio a cui si era affidato Chico - ricorda lo zio Gianni Forti - seppe che lui in re­altà non era un riccone italiano da spremere come gli era sembrato cam­biò atteggiamento».