Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 18 Domenica calendario

L’ANNIVERSARIO NERO DEL GOVERNO TECNICO COSÌ CI HA AFFOSSATO

[Altro che riforme: siamo in recessione, schiacciati da tasse e inflazione. I disoccupati aumentano, i consumi rallentano] –
È passato un anno. E per fa­vore, lasciamo perdere le strumentalizzazioni e i luoghi comuni. Lasciamo per­dere la retorica e facciamo solo i conti, con onestà intellettuale e politica. Facciamo il bilancio di un’esperienza di governo ecce­zionale e di una politica econo­mica, anch’essa eccezionale, che non abbiamo voluto noi, ma ci è stata imposta dalla Ger­mania. Tiriamo le somme di un riformismo forzato, massimali­sta e conservatore al tempo stes­so, ma che ha finito per produr­re più danni che benefici. È giunto il tempo di giudicare il governo, i suoi ministri, per troppe volte apparsi più buro­crati che autorevoli tecnici illu­minati. Oppure personaggi in cerca di un futuro politico, che saltano da un convegno all’al­tro, da una dichiarazione all’al­tra, piuttosto che disinteressati servitori dello Stato. Un nome per tutti: Corrado Passera, un misto di velleità, impotenza, luoghi comuni e presunzione. Con gli altri membri dell’esecu­tivo ostaggi, più o meno consa­pevolmente, dei loro ministeri, degli interessi costituiti, del gat­topardismo romano. Viziati dai troppi decreti legge, dalle trop­pe fiduce, poste e ottenute, dal non dover rendere conto a nes­suno. Garantiti solo dalla Sua persona. Una politica economica che senza tante analisi ha sposato acriticamente un percorso di austerità che ha prodotto la re­cessione. Sbagliando pure i con­ti. Una recessione peggiore del previsto, che ha finito per far mancare gli obiettivi per cui il ri­gore era stato voluto. Ma questi tecnici, di Angela Merkel e di ca­sa nostra, non studiano? Non leggono i rapporti internaziona­li? Non capiscono che il mondo è cambiato, e che quindi devo­no cambiare anche le ricette di politica economica? Non un indicatore socio-eco­nomico, in quest’anno, ha mo­strato segno positivo. Vorrà pur dire qualcosa? L’Eurozona è in recessione (-0,1%): ci può spie­gare perché? Non sarebbe il ca­so di mettere un punto fermo, cominciare a ridiscutere quello che è stato fatto nell’Ue in que­sti 4 anni di crisi? Non sarebbe il caso di chiedere all’Europa se le politiche sangue, sudore e lacri­me e i compiti a casa siano state e siano quelle giuste? Non è bel­lo, non è onesto veder andare in crisi tutti i paesi tranne uno: la Germania, che migliora i conti, anche contro le sue stesse previ­sioni, sulla pelle di tutti gli altri. Adesso anche della Francia.
Il Suo riformismo fondamen­talista e conservatore ha porta­to all’introduzione dell’Imu, con relativa contrazione del va­lore del patrimonio immobilia­re degli italiani. Ha portato al­l’aumento della tassazione sul­la proprietà, già ai massimi livel­li nelle classifiche Ocse; alla ri­duzione della produzione nel settore delle costruzioni, fonda­mentale in economia; al crollo delle compravendite di immo­bili. Insomma, è stato impoveri­to quell’oltre 80% di italiani che abitano nella loro casa. Non è giusto, professor Monti. Non è giusto.
La sua riforma delle pensioni ha creato il guaio tossico degli «esodati». Tossico perché met­te insieme ingiustizie e opportu­nismi, producendo più costi che benefici. Forse era meglio non far nulla. Come era meglio non far nulla sul mercato del la­voro, la cui riforma sta facendo schizzare ai livelli più alti in Eu­ropa la disoccupazione giovani­le, a causa del mancato rinnovo dei contratti a termine. Aveva­mo bisogno di più flessibilità nell’assumere, abbiamo pro­dotto solo un blocco. E la mitica spending review alla fine non si è concretizzata che in banali ta­gli lineari.
È stato un anno di consenso mediatico, ma di amarezza, im­potenza e sconcerto nella gen­te. E di tanta retorica. La retori­ca per cui il governo di prima aveva portato l’Italia sull’orlo del baratro. La retorica del non riuscire a pagare gli stipendi pubblici del 2011 a causa dello spread , il grande imbroglio su cui non è stata fatta nessuna chiarezza. Non è stato spiegato agli italiani perché tutto sia co­minciato a giugno 2011 dalla vendita, da parte di Deutsche Bank, di 8 miliardi di nostri titoli di Stato. Vendita seguita da tutti gli altri operatori, meno di una ventina di banche, che fanno il bello e il cattivo tempo. Altro che mercati. Perché quell’ordi­ne? Cosa era cambiato nella no­stra economia, nella nostra poli­tica economica, che giustificas­se quell­a decisione da parte del­la principale banca tedesca? Un anno di retorica. La retorica del «Salva Italia», il Suo primo de­creto, che non ha salvato pro­prio un bel niente. La retorica della credibilità ritrovata, dello stile di governo, del rigore, del­l’agenda Monti.
Un’insopporta­bile bolla mediatica. E che dire del«Cresci Italia»,del«Semplifi­ca Italia », dell’«Italia Digitale» e degli altri stucchevoli slogan che appaiono come vere e pro­prie prese in giro? Altro che cre­dibilità. Altro che coesione. Al­tro che responsabilità. Altro che legalità. Altro che visione.
Un anno di pacche sulle spal­le e apparente apprezzamento in campo internazionale, salvo poi vederci isolati in India, co­me a Bruxelles, o additati al pub­blico ludibrio a Washington. Ita­lia sempre più sola, soprattutto in Europa. Unico contribuente netto (cioè paghiamo all’Ue più di quanto riceviamo), che non sa con chi stare. A parole (quasi da sindrome di Stoccolma) con Angela Merkel e i rigoristi, ma con tanta voglia del contrario. E il risultato di rimanere soli.
Il governo era nato con 4 fon­damentali obiettivi: aumentare la credibilità dell’economia ita­liana sui mercati; promuovere l’azione dell’Italia in Europa, per una politica economica a ca­rattere comunitario; ridurre il debito pubblico, con misure di carattere strutturale; lanciare una strategia di sviluppo e di cre­scita per il Paese. Obiettivi rias­sunti nel Suo discorso sulla fidu­cia, le cui parole d’ordine sono state: rigore, sviluppo e equità.
A un anno dall’esordio, i fatti mostrano che ha fallito su tutti i fronti. La credibilità non è au­mentata, perché i rendimenti dei titoli di Stato decennali sfio­rano ancora il 5%, gli spread so­no in altalena, e in ogni caso con­tinuano a dipendere dall’azio­ne della Bce. Si ricorda, presi­dente Monti, il 24 luglio 2012, quando il Suo maledetto spread , il nostro maledetto spread , è schizzato a 534, prati­camente allo stesso livello che il 9 novembre 2011 ha fatto cade­re Berlusconi? E si ricorda le ra­gioni? Le voci dell’uscita della Grecia dall’euro. Non un giudi­zio sulla Sua politica. Non sareb­be il caso­di riconoscere che i no­stri fondamentali c’entrano po­co o nulla?
Il ruolo dell’Italia in Europa è rimasto marginale e l’egemo­nia della Germania è aumenta­ta. Il debito pubblico continua a crescere, sia in valori assoluti (+72 miliardi), sia in rapporto al Pil (+4,4%). Non è stata lanciata nessuna strategia di sviluppo, tanto che il prodotto interno lor­do si è inabissato, la produzione industriale precipita, i consumi sono in picchiata e l’inflazione continua a salire, come la disoc­cupazione. In un anno nulla è cambiato in meglio, ma è tutto peggiorato.
L’unica cosa buona del gover­no-Monti l’ha fatta la maggioran­za, riscrivendo la legge di stabili­tà per il 2013, cosa mai vista nel­la storia repubblicana, renden­do intelligente un provvedi­mento banale, inutilmente cat­tivo con i deboli (dai malati di Sla alle vittime di guerra) e de­magogico. Quello spruzzo di di­minuzione dell’Irpef, che aveva proposto nel Suo disegno di leg­ge, professor Monti, e che abbia­mo rispedito al mittente, era de­gno di miglior causa. Un inutile e costoso specchietto per le allo­dole. La tanto bistrattata mag­gioranza dei partiti ha sostituito il governo dei tecnici, coniugan­do rigore, equità e sviluppo. Pro­prio quello che Lei, presidente, e i Suoi ministri non siete riusci­ti a fare in un anno di governo. Un anno che può a buon titolo considerarsi un annus horribi­lis .