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 2012  novembre 21 Mercoledì calendario

LA TERRIBILE NOTTE DEL RAGIONIERE TRA TRUFFE E SOGNI [I

rapiti sono seduti sul divano a pregare i rapitori lasciano fare: basta poco per mettere sotto ricatto l’ex presidente del consiglio] –
A occhio il film è da rifare. La trama magari fa paura, ma tutte le facce messe in fila fanno ridere e i dettagli sono da piangere. La scena più bella, a parte il lieto fine, è quella del divano. Ci entriamo con la cinepresa da fuori, accompagnati da un paio di sax incorporati al cielo nero di Bresso. Scaliamo il palazzo fino all’ottavo piano, dove ci accoglie una quieta iridescenza che illumina l’appartamento di Giuseppe Spinelli. È il numero 279 del comprensorio, il millimetro di mondo del ragioniere, quattro stanze di velluto grigio.
Parabole sui tetti captano sogni. Ma non in quell’appartamento, dove nessuno dorme. Si prega. Seduti in fila sul divano, sequestrati e sequestratori, da quando la signora Anna ha estratto da sotto il fazzoletto, il rosario, e ha cominciato a recitare la sua Avemaria convinta che la penombra incorporata a quel mantra la proteggerà.
Suo marito le siede accanto più o meno come ogni sera negli ultimi 35 anni. Stavolta ha gli occhiali sbilenchi, qualche goccia di sangue sulla camicia bianca. Una manciata di ore prima due ombre sono sbucate sul pianerottolo, lo hanno spinto contro la porta dell’appartamento. Il cuore gli si è incastrato in gola. Si è spalancata la luce di un altro mondo, abitato da uomini che indossano passamontagna e addirittura scarpe rossonere. Uomini e neanche una donna, strano, no? Gli uomini parlano a voce alta. Chiedono soldi. Anna è scoppiata a piangere, ma loro non si sono offesi, sono stati gentili: “Preghi pure, anche noi siamo credenti”. Offrono una via d’uscita: “Lei domattina chiamerà il Presidente”. Offrono documenti che luccicano come l’oro dei giostrai. Ma non sulle cattive compagnie del Presidente, ragazze a tassametro, papponi, trafficanti di gas russo. Bensì sul traditore Gianfranco Fini mentre trama con certi magistrati. E documenti che invece scagionerebbero il Presidente dalla condanna per il Lodo Mondadori: 560 milioni di euro versati all’odiato De Benedetti, più una illimitata sequenza di notti insonni. Spinelli si ricorda dei primi, li ha messi in fila lui gli zeri che servono per arrivare a 560 milioni. E si ricorda pure delle notti insonni per avere pagato tutti gli arredi che servivano a riempirle. Arredi bionde e brune. Tormentose. Con cellulari molesti che zampillavano di voci in falsetto e storpiature del suo nome, tutte con il punto esclamativo incorporato: “Spino!”, “Spinellino!”, “Spinaus!”. Bionde e brune fabbricate in serie, con il nasino e i tacchi fatti della stessa sostanza, ma senza sogni, specializzate a mimare dolcezza, ma solo dopo aver contato i fogli da 500 che loro chiamano Big Buble oppure Ciclamini. Spinelli non si permetteva di giudicare, ma niente di buono poteva venirne al Presidente da quella luccicante marmaglia di rossetti che esibivano denti bianchi e teste vuote a ogni saldo settimanale, quando scadevano affitti e parrucchieri. Ed ecco che tutte le premonizioni diventano vere e stanno sedute lì in fila in quel divano. A recitare preghiere e trattativa. A dire: “Va bene chiamerò il Presidente, ma domattina”. A calcolare l’incasso in ragione dell’offerta: 35 milioni, “il 6 per cento di 560”. A ottenere “qualche ora di sonno”. Con i sequestratori incappucciati che accompagnano lui e la moglie nella stanza di là, gli rimboccano le coperte, gli dicono di “dormire tranquilli”. Pensa un po’.
Tanto è lenta la notte quanto è un lampo il giorno che segue. Il Presidente risponde al telefono, Spi Spinelli spiega. Gli ingranaggi girano. Se fossimo in un giallo entrerebbero in scena le cimici e l’agguato. Invece siamo nel pieno della più strampalata commedia. I documenti del ricatto stanno in una chiavetta da computer che non si apre e in un dvd che non si vede. Possibile?
Mentre i sequestratori dileguano, la macchina da presa inquadra le scorte del Presidente che arrivano. Vengono infilati gli ostaggi da portare in salvo. Si corre al castello di Arcore dove il principe elargisce abbracci, forse un caffè. Ma non rifugio. Eppure sarebbe stato semplicissimo, nelle 145 stanze, trovarne almeno un paio per il fedele ragioniere. Invece niente, passano 31 ore e nonostante il sole si sveglia l’avvocato Ghedini che detta la prima denuncia. Nel frattempo Spinelli sparisce. Spariscono i sequestratori. Sparisce il ricatto. Starebbe mai in piedi un film così? Non sarebbe più semplice se invece di darci a bere gli improbabili documenti su De Benedetti e Fini, gli sceneggiatori avessero almeno ideato uno scottante ricatto sulle notti di Arcore? Pupe, non politica. L’eterno peccato dei potenti, lo stesso che inchioda Petraeus alla bimba di West Point e Silvio B a una schiera di Noemi, Milly, Bamby, Buby e Ruby. Per il ricatto – bisognerà dirlo ai prossimi sceneggiatori – basta già un telefonino con telecamera, un ragioniere tanto mite da dire: “Va bene chiamerò il Presidente”. In quanto al nuovo film lo ricominceremo dalla scena più bella, quando stanno in fila sul divano e pregano, di notte, per tutte le bugie che abitano il mondo.