Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 21/11/2012, 21 novembre 2012
MONTESMEMOLO
Si potrebbero dire tante cose di Montezemolo, l’uomo che senza candidarsi vuole regalarci per altri cinque anni un premier che non si candida nemmeno lui, Monti, perché questa classe politica “ci ha fatto vergognare per vent’anni di essere italiani”. Si potrebbe dire che la sua “Terza Repubblica” somiglia tanto alle prime due, quando lui non viveva su Marte, ma alla Fiat, alla Cinzano, alla Rcs, alla Juventus, alla Ferrari, ad Azzurra, a Italia 90, al Corriere , alla Stampa , alla Fiera di Bologna, alla Confindustria, alla Luiss, alla Indesit, alla Merloni, alla Poltrona Frau, all’Ntv treni veloci, alla Tod’s, alla Federazione Editori, al Cnel, al board Citigroup, al fondo Charme con sede in Lussemburgo. E non sempre con risultati eccelsi. Si potrebbe aggiungere che nemmeno i suoi discepoli riuniti sabato sono proprio di primo pelo, da Umberto Ranieri a Linda Lanzillotta, da Albertini ai fratelli Vanzina. Si potrebbe osservare che la sua testa d’uovo Andrea Romano è reduce da un giro delle sette chiese che Rondolino al confronto è coerente: dalla dalemiana ItalianiEuropei alla berlusconiana Einaudi, dalla Stampa al Riformista al Sole 24 Ore a Italia Futura. E ancora quattro anni fa scriveva: “La Lega potrebbe diventare il motore riformatore del governo Berlusconi”, è “un movimento politico ormai lontano dalla rappresentazione zotica e valligiana”, “ha accantonato definitivamente il teatrino secessionista” per sposare “l’esempio della Csu bavarese”, insomma un modello di “buona amministrazione locale”, piena di “giovani preparati come il piemontese Cota”, “il reagente indispensabile a una vera stagione di rinnovamento” (La Stampa, 16.4.2008). Si potrebbe ricordare qualche peccatuccio di gioventù, come i soldi che il giovine pupillo di Agnelli scuciva ai rampanti torinesi in cambio di una stretta di mano con l’Avvocato. Ma sarebbero, nell’Italia di oggi, tutti colpi a salve. Il personaggio è senz’altro cambiato, rispetto ad allora: come presidente di Confindustria osò criticare spesso e volentieri il nulla del berlusconismo al potere e qualche mese fa ci aveva garantito che “ove mai entrassi in politica, metterei in un blind trust le mie azioni Ntv o le venderei a un altro socio”, mantenendo la promessa. Ma c’è qualcosa di più importante e attuale che meriterebbe una sua risposta. Per esempio le sue imbarazzanti telefonate di due anni fa con il faccendiere della P2 e della P4 Luigi Bisignani, già condannato per la maxitangente Enimont. Montezemolo gli ha assunto il figlio alla Ferrari, ma solo perché “è in gamba”. Un caso di meritocrazia? E poi resta indelebile l’annuncio che B. fece a Porta a Porta l’8 maggio 2001, vigilia delle elezioni politiche: “Nel mio governo ci sarà Montezemolo, che potrebbe andare allo Sport o al Commercio estero. Ho la sua parola”. Lui non smentì nulla, anzi fece sapere che l’annuncio era concordato, anche se per sciogliere la riserva attendeva l’esito delle elezioni. Pochi giorni dopo B. trionfò, anche grazie ai voti dei tifosi della Ferrari, in quel momento vincentissima. Ma Montezemolo, dopo averglieli regalati, cambiò idea e restò a Maranello. Tanto ormai il danno era fatto. Ora dice che si vergogna di essere italiano da vent’anni. E la domanda è semplice: perché aiutò B. a stravincere le elezioni del 2001? All’epoca eravamo in pochi a vergognarci, e soprattutto a dirlo pubblicamente. Perché non lo disse anche lui? O cominciò a vergognarsi con un certo ritardo? Non gli bastavano il decreto Biondi, i condoni fiscale ed edilizio del ’94, i casi di corruzione e di fondi neri degli anni 90? Oppure si vergognava anche quando lo sosteneva? Queste vergogne posdatate sono troppo comode. A meno di non pronunciare quattro paroline che sono tabù, per i politici e anche per i manager: “Ho sbagliato, chiedo scusa”.