Luca Davi e Fabio Pavesi, il Sole 24 Ore 21/11/2012, 21 novembre 2012
Quella zavorra è sempre più pesante. E più passano i mesi più il suo carico si fa quasi insopportabile
Quella zavorra è sempre più pesante. E più passano i mesi più il suo carico si fa quasi insopportabile. La zavorra che immobilizza le mani dei banchieri e tiene sotto scacco la redditività degli istituti italiani è quella dei prestiti "cattivi". Quelli di difficile rientro. A partire dalle sofferenze, i più problematici, passando per gli incagli fino ad arrivare alle esposizioni ristrutturate e scadute. Quel fardello di crediti deteriorati lordi vale solo per le prime 4 banche italiane la bellezza di 166 miliardi di euro. I primi due big del credito, UniCredit e Intesa, fanno ovviamente la parte del leone in questa speciale classifica. Lo stock di crediti deteriorati lordi per UniCredit ha toccato a fine settembre 2012 la cifra di 80,4 miliardi; Intesa Sanpaolo ne ha per 47,5 miliardi. Mps vanta uno stock di crediti dubbi per un valore di 28,2 miliardi e Ubi ne ha per 10,3 miliardi. Si aggiungano i 15,8 miliardi del Banco Popolare e le prime 5 banche del paese arrivano ad avere in pancia prestiti a rischio per oltre 181 miliardi. Certo non è detto che tutti questi prestiti siano andati persi. Qualche credito ristrutturato o scaduto sarà alla fine ripagato; e qualche incaglio tornerà riscuotibile. Più difficile il recupero delle sofferenze, le più problematiche, che contano comunque per i primi 5 istituti la cifra ragguardevole di 100 miliardi. L’ONDA LUNGA DELLA CRISI Il fardello pesante è figlio della crisi e dell’epoca del credito facile degli anni dal 2003 al 2007. Imprese e famiglie vanno in difficoltà e non ripagano i crediti contratti. Le banche subiscono il colpo a posteriori. La prova? L’accelerazione violenta delle sofferenze lorde dell’intero sistema che sono raddoppiate dalla fine del 2009 a oggi. E che solo dall’inizio dell’anno sono aumentate del 9,5%, passando da 93 a 102 miliardi per i primi sei istituti italiani: in pratica un miliardo al mese. Ed è proprio la dinamica della crescita vertiginosa dei crediti a rischio nelle banche a impressionare. Solo nell’ultimo trimestre la progressione è stata del 5% e su base annua l’incremento è stato del 17%. E pare che dopo più di due anni di crescita esplosiva ancora non si veda la fine. Ma più si accumulano i prestiti di difficile incasso più le banche incamerano perdite. Ogni trimestre infatti rettifiche e accantonamenti sui crediti tendono a salire. E se per il 2012 gli analisti del Credit Suisse stimano per le prime 4 banche (UniCredit, Intesa, Mps e Ubi) accantonamenti per perdite su crediti per 14 miliardi, il quadro non cambia per il 2013 e gli anni fino al 2015. Per l’anno prossimo infatti le stime parlano di accantonamenti su crediti per 13 miliardi e per quasi 11 miliardi anche nel 2014. GLI EFFETTI E così quella zavorra non solo ha fermato gli utili delle banche, ma è destinata a tenerli compressi anche per i prossimi anni. I ricavi, con i tassi ai minimi storici, e i volumi del credito in contrazione sono declinanti. L’unica voce che sale nei conti delle banche è quella del trading finanziario sui BTp e i propri titoli. Non proprio l’attività tipica di un banca tradizionale, ma piuttosto quella di una merchant bank. Tuttavia questo è l’unico modo che gli istituti italiani hanno per tenere in piedi i conti. Già sotto la linea della gestione ordinaria le banche devono mettere in conto le perdite su sofferenze e incagli. Il risultato finale è che la redditività sul capitale della media degli istituti è al lumicino da anni. Le stime per il 2012 di Credit Suisse indicano un Roe tra il 2,5 e il 4% e anche per il 2013 i livelli di redditività resteranno compressi sotto il 5%. Questo pone un problema in prospettiva agli investitori. Con un costo del capitale assai più pesante, una regulation sul fronte patrimoniale sempre più stringente e uno scenario macroeconomico a tinte fosche, la bassa profittabilità futura delle banche è più che una certezza. Se a questo si aggiunge l’effetto spread, che svaluta i titoli di Stato in pancia agli istituti, si capisce perché gli investitori rimangano scettici sul futuro degli istituti. Nonostante le violente oscillazioni giornaliere, i prezzi di borsa sul medio termine dei titoli del comparto rimangono di fatto fermi. Segno inequivocabile della cautela degli operatori sulle sorti borsistiche del settore.