Daria Egidi, varie, 21 novembre 2012
RACCOLTA VESTITI, PER VOCE ARANCIO
Riciclare abiti, Ogni anno gli italiani gettano nel cassonetto della raccolta differenziata 80 tonnellate di abiti vecchi, cioè un chilo e 300 grammi a testa. Non è molto: solo lo 0,24% sul totale dei rifiuti solidi urbani. L’obiettivo è di arrivare a riciclare 3-5 chili l’anno, pari a circa 240.000 tonnellate: così facendo si risparmierebbero 36 milioni di euro sullo smaltimento di rifiuti.
La media. In Europa la media di recupero di abiti usati è di 7 chili a testa.
Perché differenziarli? Con il riutilizzo delle materie riciclate, si ha una forte diminuzione di CO2 prodotta rispetto a quella che sarebbe stata emessa utilizzando materie vergini. Inoltre si riduce il consumo di acqua e l’uso di fertilizzanti e pesticidi. Ciò vale anche per i tessuti. Ecco i dati ricavati da uno studio dell’università di Copenhagen sui vantaggi ambientali ottenuti attraverso la raccolta di un solo chilo di abiti usati: -3,6 chili di CO2 emessa; -6.000 litri di acqua consumata; -0,3 chili di fertilizzanti; -0,2 chili di pesticidi. (Dati Conau, Consorzio nazionale abiti e accessori usati)
Vestiti a chili. In Europa si acquistano in media 15/20 chili di abiti l’anno, in Italia 14.
Mai messi. L’ente governativo inglese Wrap ha calcolato che gli indumenti non indossati custoditi nelle case britanniche costituiscono uno spreco pari a trenta miliardi di sterline. Circa il 30 per cento dell’intero guardaroba non viene indossato almeno per un anno.
Le città della raccolta. Ferrara, con 249 chili di abiti raccolti in un anno, è la città che, in media, svuota di più gli armadi in Italia. La seguono Alessandria e Rovigo.
L’iter del abito usato. Che fine fanno gli abiti messi negli appositi cassonetti gialli della raccolta differenziata? Gestiti dalle cooperative sociali che fanno capo a enti come la Caritas, vengono selezionati: quelli buoni sono avviati al mercato dell’usato, gli altri riciclati per l’industria. In media le percentuali sono queste: il 68% degli abiti è riutilizzato, il 25% recuperato per l’industria tessile, il 7% smaltito.
Guadagnare per devolvere. Tra le cooperative che raccolgono gli abiti lasciati nei cassonetti gialli c’è la onlus “Padre Badiali”, attiva nel bergamasco. Spiegano: «Non accade quasi mai che i vestiti usati passino direttamente ai poveri, sono un veicolo per ricavare denaro e finanziare progetti umanitari. Raccogliamo un milione di vestiti l’anno, dando lavoro a ragazzi problematici, ex carcerati, disabili». Conferma Carlo De Angelis, della cooperativa romana L’Ape Maia: «I vestiti tenuti meglio vengono rivenduti a piccoli negozianti dell’usato, gli altri finiscono a ditte che ne fanno pezzame industriale per le grandi officine meccaniche oppure li riciclano per recuperare i tessuti. Il ricavato va a finanziare la nostra attività e i progetti di recupero». Una delle organizzazioni più attive in Italia è Humana, che dispone di 2.800 contenitori in 500 comuni di 35 province: gli abiti raccolti, se estivi in buono stato, sono spediti alle associazioni in Africa, e qui distribuiti gratuitamente nei casi d’emergenza, oppure venduti a prezzi contenuti; il denaro ricavato da questa vendita è reinvestito nei progetti di sviluppo; se gli abiti sono invernali e in buono stato, vengono venduti in Europa per autofinanziare la raccolta e ottenere fondi da inviare ai vari progetti. Il materiale da riciclare è venduto a ditte specializzate e autorizzate al riciclaggio. Il materiale da smaltire è portato agli impianti di smaltimento dei rifiuti.
Il vintage. Humana, che è un’organizzazione attiva in tutta Europa, ha da poco aperto anche alcuni negozietti vintage dove vende capi originali degli anni ’60, ’70 e ’80, per donna e per uomo. I soldi così raccolti vanno a sostegno di progetti di sviluppo in Africa. Il negozio italiano di Humana è a Milano, non lontano dal Duomo.
Lo swapping. Una tendenza svuota-guardaroba è lo swapping, cioè lo scambio di abiti di qualità. Una mania che è partita dagli Stati Uniti, dove ha contagiato le donne più famose: tra le prime Victoria Beckham, che ha cominciato a scambiare i capi con le amiche del cuore, tra cui Eva Longoria, Katie Holmes, Emma Bunton e Gwyneth Paltrow. Tra le fanatiche dello swap c’è anche Liz Hurley, che mette a disposizione delle amiche gli abiti griffati che gli stilisti le regalano. C’è solo una cosa che non scambia: le scarpe. «Non me ne separerò mai!», dice.
Il baratto eco. Anche lo swap, così in voga, ha un risvolto ecologico: barattare 20 kg di vestiti equivale a risparmiare l’energia necessaria a tenere accesa di continuo una tv per un anno e sette mesi.
La swap boutique. Se si vuole provare ci sono anche le swap boutique, dove non si spendono soldi perché l’unica forma commerciale accettata è il baratto. Qui si portano i capi che non piacciono o stanno più bene, l’importante è che siano in ottimo stato. Una volta consegnati abiti e accessori, le addette alla boutique li valutano e scelgono quelli che si possono scambiare. Ogni articolo è catalogato in base alla sua qualità (media, alta, altissima). A questo punto il cliente può fare lo scambio, prendendo articoli nella stessa fascia di qualità dell’oggetto portato. Si paga solo una quota di servizio (di solito tra 12 e 20 euro) che serve per coprire le spese di tintoria e fornire un piccolo guadagno per le boutique.
Dove? Ecco gli indirizzi di alcune swap boutique. A Roma c’è Barattiamo? (via Amatrice 24), la prima fondata in città. A Milano è ormai diventato un luogo cult per le appassionate L’Atelier del riciclo (via Casale 3/a). Qui, sottoscrivendo un abbonamento allo swapping (50 euro quello mensile, 90 trimestrale, 150 semestrale e 250 l’annuale) si può scambiare un numero illimitato di capi, oggetti e accessori fino alla scadenza dell’abbonamento. È anche possibile sottoscrivere un abbonamento giornaliero al costo di 20 euro, che consente un massimo di tre scambi.
Un abito party. Una delle prime a portare gli swap shop in Italia è stata la bolognese Tamara Nocco, che nel 2007 mise un angolo dedicato al baratto nel suo negozio d’abbigliamento in via San Felice. Poi ha chiuso il negozio e ha creato il sito I love shopping con cui organizza appuntamenti e incontri in tutta Italia per le appassionate di swap party.
È demodé? Rinnoviamo. E se invece non ci regge il cuore a dare via capi cui siamo affezionati? Non resta che rinnovarli con qualche tocco sapiente di sartoria e senza spendere tanto. Per questo ci sono le sartorie in franchising, che stanno sorgendo in tutte le città d’Italia, specializzate in rinnovo di abiti un po’ passati di moda: Xò, Orlo Express, MrCucito, Cucioestiro. Allungare un orlo costa 5 euro, rifare un cappotto può arrivare a 30, copiare su uno scampolo il modello visto su un giornale fino a 50, mentre il completo da uomo non supera i 160 euro, stoffa inclusa. Rivolgersi a queste sartorie può essere un vero affare.
Old passion. Carlo d’Inghilterra indossa abiti vecchi di decenni, per i quali ha una vera passione.
Con ago e filo, un capo come nuovo in pochi minuti Per chi non è digiuno di ago e filo c’è anche il fai da te, con cui si dà subito nuova vita ai capi tristemente abbandonati nel guardaroba. Per non sbagliare, basta seguire i consigli degli stilisti: Kristina Ti propone di sostituire i bottoni delle vecchie camicie con strass tutti diversi comprati a pochi euro nei mercatini, oppure di trasformare le gonne lunghe in cappottini o spolverini, magari aggiungendo una cintura di cuoio o un collo di volpe rubato alla vecchia pelliccia della nonna. Alessandro Dell’Acqua suggerisce di applicare dettagli ricamati di paillettes sulla classica camicia Oxford, da abbinare a gonne e pantaloni femminili. Antonio Marras è sicuro che nel guardaroba di ognuno ci sia un abito da cui ricavare un tessuto interessante per qualcosa di nuovo. Infine, Ermanno Scervino è una miniera di consigli: «Chi ha una vecchia pelliccia deve imbottire le spalle per renderla più sostenuta come negli Anni 40, di gran moda adesso. Se è spelacchiata, può invece usarla per scaldare l’interno di un parka militare. Mentre l’intramontabile giacca blu diventa attuale se illuminata da bottoni oro. Quelle over vanno strette con una cintura alta e abbinate a un paio di leggings. Un paltò o un trench ritrova smalto con una fodera di seta colorata, magari fluò» (alla Stampa).