Irene Bignardi, la Repubblica 21/11/2012, 21 novembre 2012
HOLLYWOOD, LE SCUSE 65 ANNI DOPO PER LE DENUNCE ANTICOMUNISTE
È stata una grande tragedia e, insieme, la grande commedia americana. Gente ha perso il lavoro, gente ha perso la dignità, gente ha perso gli amici. Coppie si sono spezzate — perché lui collaborava, perché lei non voleva saperne. La storia del cinema ha subito una violenta torsione. Gli Stati Uniti hanno perso dei leali cittadini che se ne sono dovuti andare a portare altrove il loro talento e la loro creatività. E ora, da un articolo pubblicato lunedì su
Hollywood Reporter,
uno dei due maggiori organi della stampa di spettacolo di Hollywood, si scopre che a peggiorare le cose di quella cosa orribile e molto seriamente poco seria che fu l’era del maccartismo, con la maniacale caccia a dei comunisti che
non c’erano, ci si mise anche il senso di frustrazione di un uomo, il suo complesso di inferiorità, il suo desiderio di vendetta. Willie Wilkerson, il figlio di Billy Wilkerson, fondatore nel 1930 di
Hollywood Reporter
e suo storico
editor in chief,
si è scusato lunedì dalle pagine del periodico per il ruolo che suo padre e il suo giornale hanno avuto
nel 1947 nel sostenere e diffondere la Blacklist, la lista nera di quelli — registi, sceneggiatori, attori — che furono indicati dalla Commissione McCarthy come pericolosi comunisti e come una minaccia per Hollywood, e che ne ebbero distrutte le carriere e in qualche occasione anche le vite. La singolare spiegazione dell’appoggio dato da Wilkerson
Senior, attraverso una serie di articoli firmati da lui e da altri editorialisti, alla campagna di McCarthy contro i simpatizzanti comunisti, sta nel fatto che Billy Wilkerson, a sentire suo figlio Willie, si voleva vendicare a spese dei grandi di Hollywood per il fatto di non averlo accolto nel loro mondo quando lui, nel 1920, aveva tentato di fondare uno
studio cinematografico. Questa “battaglia maniacale per distruggerli” si tradusse, secondo il piano di Wilkerson, nel rovinare e costringere all’esilio o all’inazione i talenti che collaboravano con gli studios dei suoi nemici. Wilkerson figlio dice anche che probabilmente suo padre, scomparso nel 1962, due anni dopo la fine ufficiale della Black-list,
si sarebbe scusato oggi per aver messo in moto “qualcosa che ha devastato così tante carriere”.
Bel gesto e scuse tardive per quello che non è stato un “unfortunate incident”, uno sfortunato incidente, come scrive Wilkerson, ma un periodo nero dal punto di vista morale. Wilkerson non fa nomi. Ma le
scuse andrebbero mandate a tanti che non ci sono più e che hanno avuto la vita rovinata, o resa quantomeno più dura, dalla caccia alle streghe maccartista o dal senso di colpa per avere tradito gli amici e i compagni di lavoro. Mettendo dunque nel primo gruppo gente come Dalton Trumbo, che per anni non poté firmare un film, o come Dashiell Hammet, che finì in prigione per non aver voluto collaborare con la Commissione di McCarthy, o come Adrian Scott o come Lillian Hellman. E mettendo nel secondo il pur geniale Elia Kazan e il suo compagno di lavoro Budd Schulberg, che con lui avrebbe poi scritto
Fronte del porto,
un film che, alla luce del loro comportamento, sembra più che mai una apologia del tradimento. O un regista come Edward Dmitrick, che non ebbe pudore a fare i nomi dei suoi stessi amici.
L’unica consolazione retrospettiva per Wilkinson Senior è che non era solo. Collaborarono anche le star del giornalismo di spettacolo dell’epoca, da Hedda Hopper a Walter Winchell, che non solo si schierarono con Mc Carthy, ma offrirono volonterosi delle fantasiose liste di nomi. Collaborarono anche grandissimi come Bertolt Brecht. Ora, alla Screen Writers Guild è rimasto il compito di riattribuire ai talenti che per dieci anni si sono dovuti nascondere dietro i nomi fittizi la paternità delle loro opere. A partire da Dalton Trumbo e dal suo copione di
Vacanze Romane.