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 2012  novembre 21 Mercoledì calendario

LA SORELLA DEL KILLER E LA PRIVACY VIOLATA

La ricerca della verità giustifica tante cose. Ma si può violare la privacy delle persone e filmarle con una telecamera nascosta, anche se lo scopo è quello di mostrarne il razzismo o l’antisemitismo? La questione, in questi ultimi giorni, sta dividendo l’opinione pubblica francese. Riaprendo, tra l’altro, il terribile capitolo del dramma di Tolosa. Fino a una diecina di giorni fa, sembrava che tutto fosse finito. Con la morte di Mohamed Merah, il giovane francese di origini algerine che nel marzo scorso aveva ucciso tre militari, poi tre bambini e un rabbino della scuola ebraica di Tolosa. Con quella tomba senza nome nella parte musulmana di un cimitero di provincia. Con le parole di condanna di Nicolas Sarkozy che, per una volta, avevano fatto l’unanimità: «Merah non era un pazzo. Era un mostro fanatico. Cercare una spiegazione ai suoi gesti, lasciar intravedere la minima comprensione sarebbe una colpa morale». Ed ecco che la piaga si riapre. Dopo la diffusione su M6 di un documentario sull’infanzia di Merah, tutti ne parlano di nuovo, interrogandosi soprattutto sull’etica del giornalismo.
Oltre alla ricostruzione della storia di Mohamed Morah, gli spettatori si sono trovati di fronte alle terribili dichiarazioni di sua sorella Souad: «Sono fiera di mio fratello che ha combattuto fino all’ultimo, senza aver paura di morire. Detesto gli ebrei e tutti quelli che stanno massacrando i musulmani. Non ho niente contro Bin Laden. L’ho già detto alla polizia, quindi posso dirlo anche a te». Filmata a sua insaputa, Souad è convinta di parlare con il fratello Abdelghani. Non sa che nel frattempo – e con l’accordo del fratello – i giornalisti di M6 stanno riprendendo tutta la scena. Né immagina che, il giorno dopo la diffusione del documentario, il pubblico ministero di Parigi avrebbe aperto un’inchiesta giudiziaria contro di lei per “apologia del terrorismo e dell’antisemitismo”.
In pochi giorni nasce una polemica. Fino alla risposta televisiva di ieri sera quando, su un’altra rete francese, I-Télé, Suad smentisce tutto: «Condanno quello che ha fatto Mohamed. Non sono d’accordo con lui. Non sono antisemita. Mi hanno incastrato. Mi hanno fatto dire quello che non penso. Anche io sono madre e capisco perfettamente il dolore che hanno provato le madri di quei bambini». Durante l’intervista, Souad ha il viso velato. Vuole proteggere la propria intimità e la propria famiglia. E ha deciso di sporgere denuncia contro M6 proprio per violazione della privacy. Come spiega d’altronde il suo avvocato, non c’era alcuna volontà da parte della donna di fare un’apologia del terrorismo e dell’antisemitismo. Le immagini diffuse in televisione erano state registrate senza che lei ne fosse al corrente: «In una democrazia, non si punisce qualcuno per quello che dice in privato».
Già nel passato, in Francia, l’utilizzo delle telecamere nascoste aveva suscitato critiche e polemiche. Mai prima di adesso, però, si erano utilizzate immagini e dialoghi tra due fratelli. Dove comincia e dove finisce la sfera privata? È veramente tutto lecito in nome dell’informazione? Che la barriera tra vita privata e vita pubblica non sia rigida, ormai lo sappiamo
bene. Inoltre, quando si parla della stampa, è necessario salvaguardare il diritto di pubblicare tutte le notizie e le foto che si hanno a propria disposizione quando c’è un interesse per la gente. Più complicato è il caso delle telecamere nascoste. Perché, allora, o si mente ai propri interlocutori – venendo meno al principio secondo cui le fonti devono essere rispettate e salvaguardate – oppure ci si intromette all’interno di una situazione privata strumentalizzando la buona fede altrui. Chi di noi, con un fratello o un amico intimo, non si è mai lasciato andare alla collera, dicendo talvolta cose di cui si pente, e che non vorrebbe mai vedere pubblicate sui giornali o diffuse in televisione?
Il direttore di M6 non ha dubbi. Per lui, il problema è nel contenuto delle affermazioni di Souad Merah, non certo nel modo in cui si sono ottenute le informazioni. È quello che lei dice che è inaccettabile e scandaloso.
Anche se poi riconosce che il dialogo tra la giovane donna e il fratello era stato filmato senza che Souad ne fosse stata informata. Allora chi è colpevole di cosa? Nessuno
può negare che le parole della sorella di Mohammed Merah siano insopportabili. Sono sintomatiche del fatto che in Francia, come anche in molti altri paesi europei, il problema
dell’antisemitismo, del razzismo e del fanatismo non è stato affatto risolto. Esiste una ferita che percorre la società francese che non si è cicatrizzata con la morte di Merah. Ma questo non toglie niente al problema etico che si pone oggi ai giornalisti. Soprattutto quando si entra con un sotterfugio nell’intimità della vita di una persona.
Utilizzare la telecamera nascosta significa giocare con il fuoco e alimentare ancora di più la sfiducia della gente nei confronti della stampa. Un conto, infatti, è utilizzare ogni mezzo quando si è confrontati alla corruzione dei dirigenti politici o economici. Altro conto è utilizzare ogni mezzo per fare degli scoop che, per altro, rischiano di essere effimeri. Come nel caso di Souad che ieri sera ha smentito tutto. Quello che ha detto era solo il frutto di una lite con il fratello che i giornalisti le hanno rubato, senza rispettare la sua privacy.