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 2012  novembre 16 Venerdì calendario

LE MANI SUL TERREMOTO


Il 7 novembre è una data importante per i paesi terremotati dell’Emilia: è stata smontata l’ultima tendopoli, testimoniando la volontà di cambiare pagina e passare alla ricostruzione a meno di sei mesi dal sisma. Ma proprio alla vigilia di questo momento simbolico, anche le cosche hanno voluto manifestare la loro presenza: nella notte del 6 a Reggiolo, il centro reggiano più colpito dalle scosse, sono stati incendiati nove camion per il trasporto terra. Un rogo doloso, su cui indagherà la procura antimafia. E che sembra dare corpo all’allarme sull’infiltrazione dei clan nei cantieri del dopo sisma. «Segnali di gruppi che tentano di entrare nell’affare ci sono», osserva Roberto Alfonso, procuratore capo di Bologna: «L’esperienza insegna che laddove arrivano soldi pubblici le organizzazioni mafiose tentano di accaparrarsene una fetta. Lanciare l’allarme è necessario per mettere in guardia».
Dei sei miliardi previsti per sanare le ferite - inclusi i 670 milioni appena sbloccati dall’Unione europea dopo un braccio di ferro con il governo Monti - ben due e mezzo sono destinati alle abitazioni, tra restauri, demolizioni e condomini da realizzare: il business ideale per la schiera di piccole e medie imprese controllate dalla criminalità organizzata che da oltre un decennio hanno delocalizzato i loro investimenti in queste ricche provincie. Qui i padrini di ’ndrangheta, Cosa nostra e camorra hanno affidato ai loro uomini di fiducia ditte che non temono la concorrenza. Giancarlo Muzzarelli, assessore regionale alle Attività Produttive e all’edilizia, esterna a "l’Espresso" tutta la sua preoccupazione: «Agli imprenditori ripeto di non fidarsi degli sconosciuti che offrono ribassi che arrivano all’80 per cento». E sottolinea: «Le imprese sospette sono già sul territorio. Ci sono arrivate all’orecchio voci di episodi di caporalato e interessamento per piccoli lavori da aziende improvvisate».
L’ATTENTATO. A Reggiolo le scosse hanno lesionato municipio, scuole, negozi e persino l’antica rocca. Ma tutti si sono messi all’opera per superare l’emergenza. Poi le fiamme del 6 novembre hanno trasmesso un segnale sinistro nella notte: una colonna di fuoco che ha trasformato nove camion in carcasse annerite. È solo l’ultimo episodio di una escalation incendiaria che porta il timbro dei clan. La Bassa padana attorno a Reggio Emilia appare sempre più come ostaggio della ’ndrangheta. Capi indiscussi i padrini agghindati da imprenditori della cosca Grande Aracri, proprietari di un impero fondato sull’edilizia e sul movimento terra, l’attività fondamentale di ogni appalto. Il feudo di cui si sono impossessati - dopo una sanguinosa faida contro gli ex alleati Dragone combattuta tra la Calabria e l’Emilia - si estende da Reggio città a Parma, comprende alcuni paesi del Mantovano, e ha la sua roccaforte tra Brescello, Gualtieri e Reggiolo. Gli investigatori antimafia sono certi della matrice dolosa del rogo, ma non possono ancora ipotizzare un collegamento diretto con i cantieri del dopo terremoto. E rispetto alla ricostruzione dell’Aquila qui i rischi sono addirittura maggiori. «In Emilia la presenza delle mafie è strutturata», conferma il procuratore Alfonso.
LA BARRIERA. Le istituzioni stanno tentando di fare tesoro delle lezioni del passato e impedire che la rinascita diventi un affare criminale. A Bologna è stata creata(dopo vari appelli del procuratore Alfonso) una sede della Direzione investigativa antimafia che - assieme a polizia, carabinieri e Guardia di Finanza - fa parte di un gruppo interforze specializzato per contrastare l’infiltrazione nella ricostruzione. L’attenzione è alta: la scorsa settimana è arrivata anche la commissione parlamentare Antimafia. E non è solo la ’ndrangheta a fare paura. Da Cavezzo a Mirandola, città distrutte dal sisma, i Casalesi hanno messo radici: i boss casertani si sono affidati soprattutto a piccoli imprenditori, divisi tra subappalti, estorsione e usura. «Sia i Casalesi sia la ’ndrangheta avranno intenzione di entrare nei lavori. Dipende dalle strutture aziendali di cui dispongono. Certo, la ’ndrangheta è più organizzata, e gode di un margine di autonomia maggiore rispetto al clan dei casalesi che vive in simbiosi con la casa madre», dichiara il procuratore.
La Regione con in testa il governatore Vasco Errani, commissario per la ricostruzione, ha emanato provvedimenti per coniugare semplificazione burocratica e rispetto della legalità: sono i principi alla base delle "Liste di merito" create dalla Regione e pubblicate a fine ottobre. Una "white list" che permetterà la scrematura delle imprese: per iscriversi bisogna presentare le certificazioni di qualità, l’autocertificazione antimafia e dimostrare di essere in regola con il pagamento dei contributi ai lavoratori. «È una prima radiografia di superficie, poi toccherà alla Prefettura certificare che le aziende dell’elenco non abbiano legami con le mafie. Due livelli di analisi che dovrebbero arginare i tentativi. Siamo consapevoli, comunque, che la sicurezza assoluta è irraggiungibile», precisa l’assessore Muzzarelli.
LE PRIME OMBRE. I tentativi ci sono eccome. A "l’Espresso" risulta già una prima azienda bloccata. I controlli incrociati tra le Prefetture di Modena e Reggio avrebbero negato a una ditta legata a Cosa nostra palermitana l’iscrizione alle "white list". E gli investigatori starebbero approfondendo l’esame di alcuni contratti assegnati a compagnie con sede in paradisi fiscali. Ma anche qualcuna delle aziende inserite nella lista della Regione è finita di recente nelle informative degli investigatori di Reggio Calabria mentre altre sigle riconducono a intrecci societari con imprenditori vicini ai clan. "L’Espresso" ne ha individuate quattro. Hanno ottenuto l’iscrizione alle liste, fornendo la documentazione, e adesso devono superare il vaglio della prefettura. In attesa del verdetto, possono già essere chiamate da enti locali, cittadini, imprenditori che hanno fretta di rimettere in piedi le attività, senza bisogno di bandi pubblici. Spicca ad esempio il caso della Elettroimpianti, che arriva dalla Piana di Gioia Tauro, feudo della famiglia Piromalli. Negli atti dell’operazione Arca sulla ’ndrangheta nei cantieri della Salerno-Reggio Calabria, si legge che due soci sarebbero vicini proprio alla cosca Piromalli. La donna del gruppo imprenditoriale è cugina di Tomasso Atterritano, «organico alla cosca Piromalli», inserito nel 1998 nell’elenco dei ricercati più pericolosi e a lungo residente a Bologna.
A Crevalcore, 30 chilometri da Bologna, ha base la Nocera Spa. Il titolare è Giuseppe Nocera, consigliere comunale di Reggio Calabria, citato della relazione che ha portato al primo scioglimento per mafia di un capoluogo di provincia. I carabinieri elencano alcune vicende di cui sarebbe sospettato: dalla realizzazione di discarica abusiva, al traffico e trasporto di rifiuti speciali, fino alla copertura della latitanza del boss Vincenzo Ficara. Ma dalle pagine delle stessa relazione spunta un altro nome che porta dritto agli elenchi della ricostruzione emiliana: la Buonafede Srl. Il sindaco effettivo è Stefano Poeta, già direttore della partecipata comunale Multiservizi Spa, sciolta anch’essa per ’ndrangheta. Suo padre Giuseppe è rimasto impigliato nella rete dell’Antimafia. La ditta Buonafede con l’amministrazione reggina aveva un ottimo feeling: è tra i 31 operatori che secondo gli ispettori del ministro Cancellieri hanno monopolizzato il 64 per cento dei lavori pubblici gestiti dal Comune dello Stretto.
A Reggio Emilia ha sede la Fratelli Iembo. In passato due dei fratelli sono stati parte offesa in un processo di ’ndrangheta come vittime della cosca Dragone: il capoclan Totò gli aveva imposto di cedere alcuni subappalti. Uno dei fratelli, Giuseppe, è socio e vicepresidente del consiglio di amministrazione della Cofim Immobiliare: tra i soci il Gruppo Muto e Cesare Muto(mai coinvolti in fatti di mafia) definiti nelle informative imprenditori dell’autotrasporto "vicini" alla cosca Grande Aracri.
Nell’elenco della Regione anche una nota ditta modenese, la fratelli Baraldi, iscritta all’associazione dei costruttori modenesi. I suoi mezzi sono stati i primi a sgombrare dalle macerie i paesi dell’epicentro. Nel giugno 2011 aveva ricevuto lo stop antimafia della Prefettura di Modena. Ma, trascorsi i sei mesi di interdizione, è stata riabilitata tornando sulla scena.
Il movimento terra, anche in Emilia, è una delle attività sotto controllo dei padrini calabresi. Spesso è un servizio offerto a giornata, di cui non rimane traccia documentale. A Modena una larga fetta del mercato è cosa loro, soprattutto della cosca Napoli-Mercuri: un tempo stretta attorno alla famiglia mafiosa Longo, la più potente di Polistena, cittadina della Piana di Gioia Tauro. E oggi secondo le indagini della Guardia di Finanza di Modena rappresentante di una entità autonoma, emiliana a tutti gli effetti, governata da un triunvirato esperto in movimento terra. I detective della Fiamme Gialle avrebbero riscontrato la presenza dei camion delle aziende riconducibili a Pasquale Mercuri (uscito sempre indenne dalle indagini) in numerosi cantieri. «Subappalti non autorizzati», confermano da ambienti investigativi. La terra trasformata in oro per gli uomini delle ’ndrine.