Paolo Colonnello, La Stampa 21/11/2012, 21 novembre 2012
QUEI DILETTANTI DIVENTATI BANDA
Una «banda del buco» o esecutori di «menti raffinate»? Il dilemma, se così si può dire, per ora sembra fermarsi alla prima ipotesi. Nel senso che da ieri gli inquirenti sembrano più convinti che dietro il sequestro lampo del contabile di Silvio Berlusconi, Giuseppe Spinelli, non si nascondano indicibili misteri ma più semplicemente i pasticci di una banda che avrebbe tentato il colpo grosso ai danni dell’ex premier, senza riuscirci. A 48 ore dagli arresti, gli investigatori non hanno trovato soldi di ipotetici riscatti, non hanno trovato i documenti che avrebbero dovuto «ribaltare gli esiti del Lodo Mondadori», non hanno trovato nemmeno armi vere ma due pistole giocattolo. In compenso ci sono dei nuovi indagati ma si tratta di personaggi di secondo livello, legati alla banda degli italo-albanesi sia per una parte della logistica, sia per un eventuale trasferimento di soldi in Svizzera, dove comunque sono state avviate indagini per rogatoria. Certo, i punti oscuri non mancano. Soprattutto perché c’è di mezzo il Cavaliere e ogni cosa che lo riguarda, inevitabilmente si complica. Come per esempio il fatto che il sequestro si concluda con la liberazione di entrambi gli ostaggi e senza alcun risultato concreto. Sebbene, apparentemente, i banditi fino all’ultimo sembrino preoccupati di trasferire un’ingente quantità di denaro in Svizzera: 8 milioni.
I banditi però, capeggiati dal barese Francesco Leone, detto «o’ uastat» (il «guastato»), in un certo senso si commentano da sé. A partire proprio da Leone, che si presenta nel cuore della notte in casa di Spinelli indossando le ormai famigerate scarpette da tifoso milanista, dettaglio che lo frega e rivela nel contempo un’assoluta inadeguatezza per un’operazione che avrebbe dovuto portare alla banda ben 35 milioni di euro. Il «re dei sequestri lampo» d’Italia si comporta insomma da improvvisato, anche se mette al lavoro i suoi uomini fin dal giugno scorso, pedinando Spinelli perfino sotto il suo ufficio di Milano Due, quello che Berlusconi, all’epoca del suo premierato, dichiarò «pertinenza della Presidenza del Consiglio» per impedire che venisse perquisito. Nel reparto «menti» della banda, un altro ruolo di rilievo lo occupa Alessio Meier, considerato un noto «zanza» di Como, ovvero un truffatore, al punto di essere già stato condannato a due anni e mezzo di reclusione per un giro di auto di lusso contraffatte nel quale erano stati coinvolti anche alcuni calciatori. È considerato personaggio specializzato in raggiri di vario genere e nelle fasi del sequestro si occupa di aprire le tre famose cassette di sicurezza nella banca di Buguggiate, quelle dove sarebbero dovuti finire gli 8 milioni e che invece sono riempite con cento mila euro di banconote «fac simile». Come mai? Mistero. Coinvolge nella vicenda anche un suo amico, tale Domenico Papagni, con il compito di recarsi in Svizzera come «esca», per attirare cioè l’attenzione della polizia dotandolo di due buste vuote. Meier nel frattempo, passerebbe il confine con altre buste, questa volta «piene» di «8 milioni». Almeno così racconta a Leone, ma gli investigatori non escludono che stesse «zanzando» anche lui. Una settimana prima dell’arresto, Meier viene contattato da tale Casati, «verosimilmente il direttore della Raiffeisen Bank con sede in Svizzera» grazie all’intermediazione di tale Luca, sempre residente in Svizzera. Dice a Leone in un intercettazione del 16 novembre: «Allora, programma di settimana prossima: io lunedì mattina appena apre vado a Buguggiate, faccio l’operazione, vado a Varese, faccio l’operazione… metto tutto in sicurezza a casa… punto… così siamo a cavallo». E si è visto come: a San Vittore. È a casa di Meier che vengono trovate le due pistole giocattolo usate probabilmente durante al sequestro. Infine, il terzo personaggio chiave della banda è quello con il ruolo più sfumato. Si tratta di Pierluigi Tranquilli, romano, figlio di un facoltoso commerciante di vini. Durante il sequestro rimane a Roma ma telefona a Leone più volte. Si sospetta che sia stato lui a finanziare l’operazione e a fornire i misteriosi documenti da «vendere» a Berlusconi. Non si esclude che la prenotazione della Ferrari Spider, decisa dopo il sequestro, sia stata decisa indipendentemente dall’esito della «trattativa» che, apparentemente, è finita malissimo.