Mattia Feltri, La Stampa 21/11/2012, 21 novembre 2012
PDL, IL CIRCO DELLE PRIMARIE
Quando precisa le motivazioni da cui è mosso, Alessandro Proto si dimostra il più bravo a dare la caratura all’evento: «Mi candido alle primarie del centrodestra anche se non servono a nulla e so di non vincere».
E tuttavia, se il demonio volesse spassarsela, e lo conducesse al trionfo, l’immobiliarista trentottenne si distaccherebbe dalla brutalità renziana e saprebbe come valorizzare l’esperienza dei Cicchitto e dei La Russa e dei Gasparri, «altrimenti chi ti indica i cessi di Montecitorio?».
Quanto ad Angelino Alfano, Proto dice, bossianamente parlando, che non è un delfino ma un salmone e, berlusconianamente parlando, che «non ha il quid». Siamo soltanto al primo.
Poi ci sono gli altri dieci o nove o undici competitori alla successione del Cavaliere (vanno e vengono di ora in ora, e secondo i sussurri terroristici arriverebbero persino a venti) da cui si è ieri autoesclusa Alessandra Mussolini, persuasa che la sfida sia involuta a «squallida resa dei conti interna» e a «masochistico strumento politico al quale mi onorerò di non partecipare». Restano tutti gli altri, persi dentro una fitta foschia progettuale.
Giorgia Meloni, per dirne una, si è buttata nella mischia dalla seguente angolatura: «Chi ha incarichi nazionali nel Pdl dovrebbe farsi da parte e lasciare spazio a una nuova generazione». L’avevate mai sentita questa? E forse ha a che fare col perenne lamento di Berlusconi («ci servirebbe un Renzi di destra»)? Se è soltanto una scopiazzatura e se è tardiva lo si vedrà presto, come si valuteranno gli originali rottamatori di questa metà del mondo, i sedicenti formattatori capitananti dal sindaco di Pavia, Alessandro Cattaneo, che al tempo incuriosì il Cavaliere per il classico quarto d’ora. Insomma, si prospetta più che altro un tafferuglio, condizione irresistibile per uno come Vittorio Sgarbi che s’è iscritto alla competizione, anche lui, sebbene la consideri «priva di senso perché tolta la mia persona sono tutti dello stesso partito»; però c’è la necessità di «aggiungere una componente culturale» e dare una sgrollata a questi «funzionari» sotto sembianza di candidati e specialmente a quello dal cognome da merendina - come dicono tutti -, e cioè a Giampiero Samorì. «Sono io che ho creato Samorì», ha detto Sgarbi, ma egli ha tradito me, ha tradito Silvio, ha tradito chiunque, ha aggiunto; ed è un’accusa ricorrente, visto che qualche decina di anziani in torpedone, convinti di andare in gita, si sono ritrovati a Chianciano alla convention del medesimo Samorì.
È piuttosto indicativo il fatto che fin qui la più sobria sia stata Daniela Santanché, oltre a Guido Crosetto e a Giancarlo Galan, due candidati miracolosamente plausibili, e oltre a Angelino Alfano, che con rimarchevole aplomb si fa sfuggire partito e primarie di mano (tant’è vero che Berlusconi, di nuovo, pare non volerle più).
Ora, che un partito intenda suicidarsi in un modo così spettacolare, e così spettacolarmente lento, fa parte del teatro della vita. La storia breve e magari non gloriosa ma vincente e stordente di Forza Italia, del passaggio dei postfascisti alla condizione di «destra moderna ed europea», qualunque cosa questa definizione abbia poi prodotto, della fusione nella lista del Pdl, è appunto una storia breve e ci sta che si chiuda anche nelle forme più tristi. Non è invece decoroso trattare così i milioni di elettori che per due decenni hanno ripetutamente mandato al governo una classe dirigente che probabilmente non lo meritava. Elettori che oggi in gran parte si rinchiuderanno nell’astensionismo, o se ne andranno altrove, per non dare neanche un soffio di fiato a dei burattini senza fili.