Federico Fubini, Corriere della Sera 20/11/2012, 20 novembre 2012
LA RACCOLTA NON BASTA PIU’. GLI ISTITUTI SPERANO NELLA BCE PER EVITARE LO STOP AI PRESTITI
Forse perché si esprime in cifre e senza aggettivi, l’ultimo rapporto «Moneta e banche» della Banca d’Italia porta una notizia che non attrae l’attenzione della politica come meriterebbe. Da settembre scorso rispetto a dodici mesi prima, il credito alle imprese è sceso di oltre 38 miliardi. È un calo del 4,2%, superiore alla velocità di contrazione dell’economia: già solo questo suggerisce che la caduta del credito non è dovuta solo al fatto che le imprese ne chiedono di meno. Devono esserci altre cause.
Negli ultimi mesi è emerso che l’aumento degli incagli e delle sofferenze sui prestiti già offerti sta frenando l’azione delle banche e il governatore Ignazio Visco ieri ne ha parlato con i principali banchieri. Ma è all’opera anche un fattore in più, che contribuisce a questa recessione giunta al sesto trimestre (la più lunga nella storia della Repubblica). Nel primo paragrafo delle sue ultime previsioni sull’Italia, la Commissione europea per esempio esplicita ciò che il bollettino Bankitalia esprime in cifre: Bruxelles parla di «pressioni sul finanziamento del settore bancario» che provocano «condizioni di credito più restrittive».
In poche parole, le banche italiane faticano a trovare sul mercato il credito che serve loro per funzionare normalmente. È anche per questo che ne trasferiscono meno al resto dell’economia: i dati pubblicati da Via Nazionale lasciano pochi dubbi. Oggi in Italia il volume dei prestiti è nettamente superiore quello dei depositi dei clienti custoditi dalle banche stesse. Questi ultimi (tavola 2.1b dell’ultimo «moneta e banche») valgono oggi 2.340 miliardi di euro, i prestiti ai residenti in Italia invece 2.860 miliardi (tavola 2.5). Ciò significa che in base a questi dati gli impieghi sono del 22% superiori alla raccolta presso la clientela: esistono prestiti per circa 500 miliardi di euro che non possono essere finanziati dai risparmi depositati in banca.
Questi valori si prestano ovviamente a stime diverse secondo come si calcola. Per l’Fmi per esempio gli impieghi in Italia sono superiori ai depositi addirittura del 74%; secondo l’ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria, che probabilmente include i bond delle banche vendute ai clienti, il dato è invece al 16%.
Lo squilibrio c’è comunque anche se, in tempi normali, non sarebbe un problema. In passato gli istituti di credito lo compensavano sul mercato: emettevano dei bond oppure contraevano prestiti presso altre banche. Ma con la semi-paralisi nella circolazione dei capitali in Eurolandia, oggi in Italia solo le due banche più grandi ci riescono ancora. Unicredit e Intesa Sanpaolo competono in un’altra categoria e hanno un rapporto fra prestiti e depositi più equilibrato (in certi casi) rispetto alla media.
Ciò lascia centinaia di banche medio-grandi, medie e piccole in difficoltà quando si tratta di accedere all’ossigeno che serve per mantenere i livelli di credito. C’è poi un problema in più, segnalato dalla Banca d’Italia: entro la fine dell’anno prossimo le prime 33 banche del Paese devono reperire fondi rimborsare bond in scadenza per 78 miliardi di euro e ciò non fa che rendere più acuto il rarefarsi dell’ossigeno finanziario.
Non è una situazione irrimediabile. La Banca centrale europea potrebbe aiutare lanciando prestiti pluriennali, come fece nell’inverno scorso. Molti in Italia ci sperano: ormai è difficile incontrare un banchiere italiano che non ritenga «inevitabile» una nuova iniezione di liquidità da parte della Bce, ma per adesso dall’Eurotower non ne parla neppure anche perché la Bundesbank si oppone. L’alternativa, per molte banche, è ridurre i prestiti in modo da allinearli ai livelli dei depositi. In realtà hanno già iniziato a farlo: nel piano industriale del Monte dei Paschi per esempio figura un calo degli impieghi per undici miliardi, mentre altri fanno altrettanto senza annunciarlo.
Inevitabilmente misure di questo tipo danneggiano l’economia ancora di più. È per questo che da molte parti si cerca di fare a meno delle banche, raccogliendo la liquidità per le piccole e medie imprese da altre fonti. Alessandro Profumo, presidente di Mps, incoraggia i distretti produttivi a emettere bond comuni. E nel Paese stanno iniziando a operare fondi che investono (anche) in prestiti alle imprese. Il sistema produttivo e del credito sta cercando di dimostrare che al rischio di asfissia finanziaria si può reagire. Non ha altra scelta, se vuole vedere per davvero la luce in fondo al tunnel.
Federico Fubini