Francesco Battistini, Corriere della Sera 20/11/2012, 20 novembre 2012
LA LUNGA ATTESA DEI RISERVISTI IL NEMICO DA COMBATTERE È LA NOIA
SDEROT (Israele) — Pronto, chi spara? «Shalom. Se sei Tzach Gat, numero d’identificazione…, hai l’ordine di presentarti entro 24 ore alla tua base di reclutamento o al punto di Ramot, dove troverai un autobus. Ricorda che devi essere munito di tutta la tua attrezzatura militare». Il telefono di Tzach Gat, 37 anni, un dottorato in chimica all’Università di Gerusalemme, parà riservista dell’unità speciale Sayeret Nahal, squilla nel sonno del venerdì notte.
Chi diavolo rompe?... La voce alienata d’una segreteria automatica, Zav-8, nome in codice del richiamo: l’adunata delle emergenze, quella che non ammette ritardi, né renitenze. Il tempo di non riprendere più sonno, di passare un po’ di sabato coi quattro bambini, quattro cose nel trolley, «magari mi porto un po’ di lavoro ché non si sa mai», una carezza alla mezuzah sullo stipite di casa com’è nella retorica ebraica d’ogni guerra, addio mia bella addio, l’auto degli amici che aspetta e via, veloci, destinazione una base della Galilea: sabato, anche il soldato Tzach è partito per la seconda guerra di Gaza.
La Grande Armada di terra messa insieme da Bibi Netanyahu, per il momento, combatte un solo nemico: la noia. «Le prime dodici ore ti passano nell’adrenalina dei preparativi — racconta il parà Tzach —. Tutti a dire: siamo venuti per farla finita con questi razzi di Hamas, e allora eccoci qui… C’è perfino esaltazione. Poi, comincia quel tempo che non finisce mai. Qualche esercitazione, se va bene. Se no aspetti, aspetti… Aspetti che ti mandino dentro o ti rimandino a casa». Dei 75 mila riservisti mobilitati d’urgenza, diserzioni poco sopra lo zero per cento, qualcuno sta già tornando: a Eli T., agente immobiliare e carrista di Tel Aviv, ieri mattina hanno comunicato che di carristi ce n’è già troppi e che al momento non c’è bisogno di lui, perché nessuno sa se poi s’entrerà davvero, a Gaza. «Oggi mi hanno rimandato a casa, ma domani devo tornare», scuote la testa Yair, infermiere di Gerusalemme. «Ho lasciato mia moglie, il mio bambino d’un anno e un sacco di lavoro arretrato — protesta un ufficiale —. Ho fatto tutto di corsa, e per che cosa? Stiamo a fare girare i pollici. Ho la sensazione che ci abbiano richiamato solo per alzare un po’ di polvere. Ci usano per fare paura a Hamas, ma nessuno vuole realmente un attacco di terra».
Prudono le mani, pochi mostrano la paura d’insanguinarsele. «Mangal», twittano i soldati di siesta: siamo qui a fare il campeggio. E non è un passatempo gradito a tutti: «Mi hanno costretto ad annullare le date dei miei concerti», spiega lo scocciatissimo account di Idan Amedi, vincitore dell’ultima edizione dell’X-Factor israeliano, cantante di recentissima fama che sta con gli elicotteristi e ha dovuto interrompere la tournée, rimborsando i biglietti ai fan delusi. La voce metallica della Zav-8 è arrivata fino allo Stato di New York, sul cellulare di Edan Razinovsky, 26 anni, studente di medicina a Harvard: «Sono basito. Io in Israele ci sono nato e basta, vivo in America da 23 anni. Perché dovrei fare questa guerra?».
Volti noti o militi ignoti, la chiamata non fa eccezioni. O quasi. «Come al solito, chi prega non combatte», s’indignano sui blog gli Indignados di Rothschild Avenue, a Tel Aviv, e in un attacco di terra il Bibi pre-elettorale dovrà fare i conti con chi vede che la guerra non è uguale tutti: per gli arabi israeliani, il 20 per cento della popolazione; soprattutto per gli haredim, quel 10 per cento d’ebrei ultraortodossi che sono esentati dalla chiamata alle armi (e pure dalle tasse per pagarla) e che invece una legge, ferma alla Knesset da mesi, vorrebbe trascinare alla pugna come gli altri. Il consenso dell’opinione pubblica all’operazione «Colonna di Fumo» è dell’88 per cento, dicono i sondaggi di Haaretz, più o meno come fu quattro anni fa per «Piombo Fuso», ma l’eventualità d’un attacco di terra piace solo al 30 per cento degli israeliani. Fra questi, non ci sono di certo le mamme riunite nel social group «Partorire mentre il marito è nell’esercito»: un’associazione di mutuo soccorso Facebook, per donne con le doglie che sono rimaste sole ad arrangiarsi. Né ci sono le signore che vanno alla palestra di Arnona, quartiere di Gerusalemme: un cartello all’entrata avverte le clienti che il corso di pilates è sospeso, «l’insegnante è stata richiamata». Dicono che l’assenza si sente, «lei è la più chiassosa, vivace, chiacchierona del fitness center». L’hanno messa a controllare i droni da un computer. Dalla palestra le hanno chiesto quando torna: «Informazione riservata», ha risposto.
Francesco Battistini