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 2012  novembre 19 Lunedì calendario

PROTTI, VERSIONE ALLA LIVORNESE DI SAN GENNARO


Se dobbiamo cercare nel calcio italiano qualcuno che gli assomigli bisogna premere il tasto rewind a lungo, andare a ricercare negli anni in bianco e nero, forse quando la televisione non c’era nemmeno. Ma a che servirebbe premere i tasti della memoria? Lui è stato semplicemente lui: Igor Protti, 45 anni, numero 10, estroverso in campo per quanto essenziale nelle parole. Un romagnolo, che negli anni si è livornesizzato, ma molto atipico: pochi aggettivi, zero presunzione, una bella famiglia, un cuore grande così.
Nella Livorno portuale, vociante e post comunista, popolana e pigra, è stata la risposta anticlericale e fai da te a San Gennaro. “Mi ricordo che trovavo la gente sottocasa”, racconta, “che mi chiedeva di andare a visitare il figlio in ospedale perché si era rotto una gamba, quello che mi chiedeva di dedicare il gol al nipote andato a lavorare all’estero e quelli che alla terza settimana avevano bisogno di cento euro per arrivare a fine mese”.

TUTTE ESSENZIALITÀ che nel calcio italiano non si trovano: avrebbe potuto guadagnare quello che voleva nei suoi 22 anni di carriera, ma ha preferito mettersi in tasca quello che poteva. Si è tenuto alla larga dagli squadroni, ha fatto il numero 10 di provincia, per scelta. Ha seguito il profumo del mare - Rimini, Messina, Bari, Livorno sono le tappe fondamentali della sua carriera - e non quelle dei soldi. Un uomo di Mediterraneo, di quelli che conoscono lo scirocco e il libeccio più che la brezza.
Questo basta per differenziarsi dal gruppo. Mettici che ha visto passare trenta allenatori eche ha vinto, unico in Italia, la classifica dei marcatori in serie C, B e A, e pensi a quelle che avrebbe potuto fare in una grande squadra.
Un personaggio, Protti, che nel calcio ha sempre ruotato, l’ha vissuto, ma non ci ha vissuto. “Come vede il calcio travolto dagli scandali? Voglio pensare”, dice, “e sperare che quando si raggiunge un livello molto basso, nello sport come nel resto della società che lo circonda, sia solo un punto di ripartenza e di opportunità per non ripetere gli errori del passato. Certo, sono cose che non mi sarei mai aspettato, che nessuno si aspettava. Ma io voglio essere come sempre positivo e fiducioso e dico che ce la può fare. Il calcio di solito è uno specchio della società. Viceversa può partire dal calcio il riscatto che influenzi anche il resto della società. Questo dovrebbe essere, ma non solo dal calcio. Ma da tutto lo sport che deve trasmettere messaggi positivi, i valori del rispetto, dell’etica. Spesso e volentieri il calcio è appunto uno specchio della società in cui viviamo. E quindi se i valori della società sono i soldi, l’arrivismo e la vittoria a tutti i costi questo si ripercuote anche sullo sport. È un po’ un cane che si morde la coda. Alla fine gli sportivi vivono nella società... Ma vediamo. Sono fiducioso”.
In questa situazione è difficile rimanere affezionati a questo sport. Per uno poi come Protti, che ci mise trenta secondi, nel pieno della carriera, a mandare a quel paese Zeman e la Lazio che costruiva in quegli anni, con quelle idee rivoluzionarie, ma anche confuse. Lui non ci stava. E non ci rimase.
“Sono nato con una passione smisurata per questo sport che ho lasciato solo a 38 anni dopodiché mi sono allontanato. Non riesco a non amarlo, nonostante tutto. Anche se non pensavo si raggiungesse questo livello. Del mio rapporto difficile con Zeman si è scritto e riscritto. Non è più il caso di raccontarlo. Diciamo che avevamo visioni diverse, del mondo e del modo di fare calcio”.

A 38 ANNI PROTTI si è allontanato completamente dal calcio. Avrebbe potuto continuare, a Livorno lo avrebbero fatto giocare anche solo per vederlo entrare in campo.
“Ma io avevo bisogno di stare con la mia famiglia dopo che sono stato sui campi da 8 a 38 anni. Trent’anni di seguito. Quindi dovevo recuperare un po’ di sabato e di domeniche. Poi avevo bisogno di altre esperienze, di altre realtà”.
Dimostrazione è anche non aver trascinato per forza suo figlio in quel mondo. “Lui gioca davvero solo per divertimento, per piacere, per stare insieme agli amici. Per fortuna va molto meglio di me a scuola. Pensi che quando lo convocano in prima squadra lui dice che preferisce giocare tra i giovani”.
“E anche io il tesserino da allenatore l’ho preso adesso, tardi. E mi manca il secondo step (per allenare i professionisti), il master che dovrei fare l’anno prossimo. Attualmente ho una collaborazione come osservatore del Catania che mi dà tante soddisfazioni e che voglio portare fino in fondo”. Aveva avuto anche un abboccamento per allenare il Milazzo (seconda divisione, vecchia C2), ma non se n’è fatto nulla.
Accadrà che lo chiamino.
“Se dovesse accadere, ma vedremo, cercherò di chiedere ai ragazzi di dare sempre il massimo delle loro possibilità. Non vuol dire che bisogna essere tutti Maradona o tutti nelle categorie più basse. Ognuno deve dare il massimo a qualsiasi livello. Se uno ha la consapevolezza di esserci riuscito una sconfitta equivale a una vittoria. È complicato dirlo a uno che alle Olimpiadi è arrivato secondo invece che primo per pochi centesimi o per pochi punti. Ma è quello che mi piacerebbe trasmettere alle mie squadre. Certo, non so quante società gradirebbero questo messaggio”. Forse, ma a noi piace questo signor Protti, cittadino di Cecina, proprietrio di un agriturismo e una tabaccheria. Il Protti provinciale a vita, mai stato a Miami o a Porto Cervo.