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 2012  novembre 20 Martedì calendario

LA DIFFICILE EREDITÀ DI HU JINTAO RADDOPPIARE IL PIL ENTRO OTTO ANNI


In base ai dati diffusi dalle autorità, in ottobre l’economia cinese è cresciuta più rapidamente del previsto. L’annuncio è arrivato il giorno dopo che il presidente Hu Jintao ha inaugurato il Congresso del partito comunista, fissando obiettivi ambiziosi di crescita nei prossimi dieci anni. Molti economisti, e gli stessi mercati, dubitano che i dati siano stati influenzati dalla concomitanza del passaggio del potere e dalla necessità di creare un clima sociale favorevole. In Cina lo Stato continua a controllare credito e sistema produttivo e ottenere indicazioni svincolate dalla propaganda politica resta impossibile. Al di là di tempi e contenuti, vanno però sottolineati alcuni elementi di fondo che autorizzano un minor pessimismo sul futuro della seconda economia del mondo. Pechino chiuderà il difficile 2012 con una crescita del 7,5% e un’inflazione di poco superiore al 2%. Dopo sette trimestri consecuitivi di crescita in calo, il rallentamento pare arrestato. Questo conferma la volontà dello Stato di restare il motore del pianeta, assestando la crescita attorno all’8% e, raffreddata l’inflazione, non scendendo nel medio periodo sotto il 6%. In ottobre, secondo i dati diffusi dal Congresso, le esportazioni sono aumentate dell’11,6%, l’import solo del 2,4% producendo un avanzo commerciale di 32 miliardi di dollari, il più alto da oltre tre anni. Il messaggio che Pechino vuole inviare è che l’atterreggio ruvido non ci sarà,
che il peggio è passato e che anche la Cina vede segnali di ripresa. Questa è la volontà, poi c’è la realtà. Il rilancio d’autunno è stato infatti finanziato da banche statali e dalla banca centrale, che hanno convogliato centinaia di miliardi in prestiti supplementari a imprese ed enti pubblici per finanziare nuove infrastrutture. L’ordine di Hu Jintao, al passo d’addio, è stato chiaro: raddoppiare Pil e reddito pro capite entro il 2020. Il problema ora è come uscire dalla spirale dei debiti non esigibili. L’economia cinese rimane quella con la più rapida espansione del mondo, ma regista anche la crescita più lenta degli ultimi 14 anni. In Asia solo il Giappone, già in recessione, affronta difficoltà maggiori. L’esposizione delle banche cinesi con imprese ad alto rischio, dal settore immobiliare alle transazioni fuori bilancio, ma soprattutto verso regioni ed enti locali, è il più dibattuto tema di discussione nei mercati e all’estero. Il debito della amministrazioni locali a fine 2010 ammontava ad oltre 1100 miliardi di dollari. La frenesia dell’indebitamento è proseguita, tanto che in ottobre il credito pubblico non ha prestato meno di 60 miliardi di euro. Senza troppi clamori, come nel 2008, Pechino sta facendo di tutto per riaffermare la propria forza economica. Ha tagliato i tassi di interesse di riferimento sia a giugno che a luglio, ha abbassato le riserve bancarie tre volte in un anno e promosso ripetute iniezioni di liquidità nel sistema finanziario. In settembre i fondi destinati a nuove infrastrutture sono stati di circa 157 miliardi di dollari. Per calmare i marcati, il governatore della Banca centrale, Zhou Xiachian, ha escluso ufficialmente che tale massa di prestiti possa presto gravare sulla crescita. La redditività delle banche – ha notato – resta relativamente forte, con la possibilità di aumentare le riserve e svalutare i prestiti cattivi. Secondo analisti e agenzie di rating il problema è che i sintomi di una ripresina cinese sono sempre più vincolati al destino della nuova leadership politica, alla stabilità sociale che saprà imporre e alla rapidità delle promesse, ma vaghe, riforme strutturali del sistema economico. Brindare oggi è legittimo, farsi illusioni su domani è un azzardo.