Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 20 Martedì calendario

TRONCHETTI E LA PIRELLI ALL’ULTIMO GIRO DI VALZER


La Pirelli potrebbe essere vicina a un passaggio storico della sua vita ultra centenaria. L’accordo che si sta studiando in queste ore e che potrebbe essere già stato annunciato nel week end appena trascorso, prevede in prospettiva l’eliminazione della struttura di scatole cinesi che per più di vent’anni ne hanno racchiuso il controllo e, inoltre, e metterebbe anche la parola fine sull’autoreferenzialità del suo “dominus” Marco Tronchetti Provera.
Certo, la domanda viene spontanea: come può succedere tutto ciò in un momento in cui i principali soci si stanno dando battaglia a colpi di carte bollate ai diversi piani delle holding che sovrintendono alla Pirelli?

Va innanzitutto detto che non è sicuro che tutto ciò succeda, in quanto gli ostacoli sul cammino di un percorso del genere sono ancora numerosi. E tutti da superare. Ma lo scontro frontale tra Tronchetti Provera e la famiglia Malacalza, ad appena tre anni di distanza da un’unione che sembrava stretta e indissolubile, ha paradossalmente gettato le basi per un passo avanti verso la semplificazione di quella che una volta veniva chiamata galassia del nord o galassia Mediobanca. Per anni il cosiddetto “sistema” ha garantito la sopravvivenza di una situazione assolutamente anomala rispetto a qualsiasi mercato dei capitali evoluto. Tronchetti Provera - subentrato nella gestione della Pirelli a Leopoldo nel lontano 1992, su indicazione di Enrico Cuccia e dell’allora giovane direttore centrale Gerardo Braggiotti - ha nel corso del tempo consolidato il controllo sulla multinazionale delle gomme facendo leva su un basso impiego di capitali e una struttura di holding piramidale che gli ha consentito di “estrarre” benefici privati sproporzionati per un semplice manager. Su tale sistema vigeva il consenso implicito da parte delle banche creditrici e di Mediobanca presente, come suo solito da oltre trent’anni, ai vari livelli della catena con piccole quote azionarie che garantivano la blindatura e allo stesso tempo un flusso di commissioni importante su tutte le operazioni di finanza straordinaria che venivano effettuate dal gruppo.
L’apoteosi di un sistema siffatto si è manifestata nel settembre 2000 quando la vendita di una start up della Pirelli nella componentistica ottica, la Optical Technologies Usa, all’americana Corning in piena bolla speculativa dei mercati, produsse 456 milioni di dollari di stock option per i tre manager di vertice della società, Tronchetti Provera (219 milioni di dollari al lordo delle tasse), Giuseppe Morchio e Carlo Buora. L’ambiente finanziario era talmente euforico in quel periodo che nessuno, né all’interno né all’esterno dell’azienda, riuscì a opporsi a un’elargizione così clamorosa e poco giustificata costruita in punta di diritto in poche settimane, visto che la sottoscrizione delle stock option da parte dei manager è avvenuta solo l’11 luglio 2000, a meno di due mesi dalla vendita. Altri tempi, si dirà. Ma è un fatto che Tronchetti Provera con i 4,7 miliardi di dollari incassati dalla Pirelli in quell’operazione lanciò l’assalto a Telecom Italia supportato dalle banche più vicine all’azienda, cioè Intesa Sanpaolo e Unicredit. Sei anni di telecomunicazioni vissuti pericolosamente, con i riflettori sempre puntati addosso ma che hanno permesso al manager- azionista di “estrarre” doppi benefici per sé stesso, dalla Pirelli e dalla Telecom nelle quali esercitava la carica di presidente. Basta scorrere i bilanci di quell’epoca per vedere l’entità degli stipendi lordi che il Tronchetti-manager è riuscito a incassare nel periodo 2002-2007: 21,2 milioni di euro dalla Pirelli più 18,7 milioni dalla Telecom. Soldi che comunque servivano al Tronchetti-azionista per seguire gli aumenti di capitale lungo la piramide societaria e che si sono resi necessari nel momento in cui il valore del colosso telefonico affondava in Borsa portandosi dietro anche la società della Bicocca.
Mediobanca e il sistema bancario seguivano da vicino cercando di puntellare dove serviva pronte a intervenire qualora il malato rischiasse di capitolare. Intervento resosi necessario nel maggio 2007 quando Tronchetti vendette il pacchetto di controllo di Telecom a un consorzio formato da Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Generali e Telefonica. La minusvalenza implicita per la Pirelli fu di ben 3,2 miliardi rispetto ai prezzi pagati nel 2001 ma quel valore (2,8 euro per azione) si rivelò comunque un paracadute fondamentale per l’azienda di pneumatici che evitò in tal modo un tracollo senza precedenti, vista la bufera che si è abbattuta successivamente sui mercati e sulla stessa Telecom.
La patata bollente è però passata sui bilanci delle banche azioniste che ad oggi devono scontare anch’esse una forte minusvalenza sul passaggio di mano del 2007, solo in parte compensata dal flusso di commissioni a loro favore che comunque una società telefonica di quelle dimensioni è sempre in grado di assicurare. Una cosa è certa: se in Pirelli non vigesse un sistema autoreferenziale, qualsiasi manager sarebbe capitolato sotto il peso di una perdita di 3,2 miliardi. Tronchetti Provera ebbe buon gioco a sostenere che la perdita del 2007 era minore della plusvalenza realizzata sei anni prima con la vendita alla Corning e che anzi il saldo era positivo per quasi 500 milioni. Ma la mancanza di qualsiasi opposizione in seno al consiglio e sul fronte degli azionisti di minoranza, in aggiunta al sostegno incondizionato del “sistema” di cui Pirelli e Tronchetti sono protagonisti diretti, hanno mantenuto in sella il manager-azionista nonostante le crepe nella piramide cominciassero ad allargarsi.
I debiti collezionati nelle holding Camfin e Gpi per far fronte ai successivi aumenti di capitale insieme alla necessità di liquidare il socio Carlo Puri Negri come conseguenza del dissesto del ramo immobiliare hanno costretto Tronchetti a una mossa che all’apparenza sembrava perfetta. Imbarcare la liquidissima famiglia genovese Malacalza al suo fianco nel ruolo di azionisti forti ai piani alti della catena, ha funzionato per tre anni e poi si è dovuta scontrare con i limiti che quel “sistema” ha per anni presentato. La combinazione di banche non più disposte a rifinanziare i debiti in scadenza; elevati stipendi e stock option distribuiti dalla società operativa a fronte del suo buon andamento; eliminazione di qualsiasi figura manageriale potesse far ombra al grande capo; mancanza di soldi per far fronte all’abbattimento del debito, tutto ciò alla fine ha provocato lo spettacolo di questi giorni. Uno scontro frontale tra Tronchetti e Malacalza nel mezzo del quale si sono inseriti i due fondi di private equity più dotati del momento, Investindustrial di Andrea Bonomi e Clessidra di Claudio Sposito, che in cambio del loro apporto di capitale vogliono imporre a Tronchetti lo smantellamento dell’intera catena societaria per diventare in un futuro non troppo lontano gli azionisti forti di Pirelli.
Un Tronchetti senza molte vie d’uscita non pare voglia lasciarsi sfuggire l’occasione di intascare l’ultimo jackpot milionario, avendo avanzato la richiesta di rimanere in sella per almeno un altro triennio con la garanzia di una stock option da 70 milioni. Richiesta imbarazzante a cui i due fondi per il momento si sono sottratti ma che ritornerà fuori, come un fiume carsico, nel momento in cui diventerà d’attualità la seconda fase della grande trattativa e anche la più difficile: quella diretta a trovare il consenso dei Malacalza.