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 2012  novembre 20 Martedì calendario

CAPITALI IN FUGA

[Italia e Svizzera presto l’accordo?] –
La Svizzera ha annunciato che i colloqui in corso per un accordo fiscale bilaterale con l’Italia sono a buon punto e c’è la possibilità di un’intesa entro il 21 dicembre. Qual è l’obiettivo della trattativa?
Come già Austria, Regno Unito e Germania (intesa non ratificata dal Bundestag), il nostro governo sta cercando di definire con la Confederazione elvetica un nuovo impianto di regole che punta a ridurre l’evasione transfrontaliera e a completare i patti già firmati fra Bruxelles e Berna in materia di controlli fiscali.

Quanto vale questo pacchetto?
Non ci sono numeri esatti. La stima dei capitali italiani depositati illecitamente oltre confine è tra 120-150 miliardi. Il ricavato dell’intesa bilaterale, a seconda delle fonti, potrebbe valere fra i 10 e 25 miliardi l’anno.

Cosa dicono le regole europee?
L’Ue ha approvato una direttiva Risparmio con cui ha creato un sistema di scambio di informazioni fra le autorità erariali nazionali. Il meccanismo consente di monitorare le entrate percepite da aziende e singoli fuori dai confini nazionali. Gli Stati raccolgono i dati sugli stranieri e, automaticamente, li mettono a disposizione dei controllori dei Paesi terzi.

È un sistema che vale per tutti?
Attualmente, 25 capitali su 27 dell’Unione partecipano al sistema di scambio di informazioni. Due, Austria e Lussemburgo, hanno scelto di restare fuori per una fase transitoria. In cambio di questo status fiscalmente semiparadisiaco, si sono impegnati ad applicare una ritenuta alla fonte del 35%. In pratica tassano, ma conservano l’anonimato dei non residenti. E i loro segreti.

Cosa vuol dire «periodo transitorio»?
L’intesa europea, definita nel 2003, stabilisce che l’attuale regime Ue verrà meno quando Svizzera, Andorra, San Marino, Monaco e Liechtenstein avranno una ritenuta alla fonte e «standard internazionali per lo scambio di dati». Realizzate queste condizioni, anche Austria e Lussemburgo dovranno unirsi al sistema a Venticinque.

Cosa prevede l’esistente accordo fra Ue e Svizzera?
Le regole attuali impongono ai confederati di imporre una imposta alla fonte del 35% come deterrente alla circolazione dei capitali. Se però i cittadini comunicano i movimenti alle autorità nazionali, possono ottenere un rimborso che equivale alla differenza fra la tassa svizzera e quella del Paese d’origine, che è in genere più bassa. È previsto uno scambio di informazioni a richiesta, ma con precisi limiti (per la frode, si può).

Perché l’Unione vuole rinegoziare l’intesa?
Bruxelles ambisce a riaprire il discorso con i cinque Paesi continentali che hanno status di semiparadiso fiscale per arrivare a una equivalenza fra le loro regole e quelle comunitarie. La Commissione chiede da tempo alle capitali un mandato per cominciare a negoziare. Occorre l’unanimità e il via libera non arriva.

Chi frena e perché?
Soprattutto Austria e Lussemburgo. Per ragioni non apertamente confessate, ma precise: il giorno che la Svizzera e gli altri partecipassero allo scambio di dati, dovrebbero farlo anche loro.

Funziona il sistema in vigore?
Almeno in parte, sì. Nel 2010 la Confederazione elvetica ha versato agli stati dell’Ue 330 milioni di imposte, in linea con quanto previsto dalle intese.

Come mai gli stati cercano di definire intese bilaterali?
Sono liberi di farlo, se esse rispettano e non contraddicono le regole comunitarie. Soprattutto, devono assicurare che l’accordo non intervenga su materie e sul gettito già contemplati dal quadro eurosvizzero. Ad esempio, possono occuparsi di responsabilità del passato (amnistie fiscali), o della tassazione dei redditi da capitale e dei dividendi.

L’Ue, però, non ama le intese a due, vero?
Quando Germania e Regno Unito hanno chiuso il loro patto con Berna, Bruxelles ha rilevato che esso si accavallava con le regole comunitarie e ne ha chiesto il cambiamento. L’intesa austriaca è ancora sotto esame, come del resto sarà quella italiana una volta firmata.

I dubbi sui patti bilaterali non sono però solo tecnici?
La Commissione, che in questa fattispecie svolge il ruolo di negoziatore su mandato, ritiene che una deriva verso tante singole intese potrebbe complicare la definizione di un migliore quadro comune europeo. Bernasembrainvece,perilmomento,preferire l’approccio bilaterale, che gli esperti chiamano «Cubo di Rubik» e che secondo gli addetti ai lavori è colmo di lacune.

La Commissione è sola?
No. Il Parlamento europeo, con una risoluzionenonvincolanteapprovataastragrande maggioranza (538 sì, 73 no e 32 astenuti), ha chiesto in primavera un accordo «immediato» con la Svizzera e misure concrete per contrastare l’evasione fiscale.