Lui. Gra., La Stampa 20/11/2012, 20 novembre 2012
“SI VOLA VICINO ALLE TEMPESTE PER RISPARMIARE” [I
piloti: è stato un caso eccezionale, ma ci sono zone più pericolose di altre] –
Vita vissuta: su un aereo che attraversa l’America dalla California a New York, volando sopra un uragano del Midwest, i passeggeri si stufano di tenere allacciate le cinture di sicurezza e cominciano ad andare e venire dalla toilette, fra i continui sobbalzi dei vuoti d’aria, e le hostess non ci fanno neanche più caso, perché mica si può stare per ore con le lattine di Sprite sulla vescica.
Questo però è un esempio deplorevole, perché tenere le cinture di sicurezza allacciate è l’unica misura che i passeggeri possano adottare per proteggersi dai vuoti d’aria; in effetti, le compagnie dicono di tenerle sempre allacciate quando si è seduti, mentre i viaggiatori tendono a interpretare la lucetta della cintura che si spegne dopo il decollo coma un liberi tutti, slacciate pure come vi pare. Non è così.
«Io personalmente la tengo sempre allacciata», dice Pietro Pallini, pilota dell’Alitalia che scrive anche libri di aerei. «Ma sono un caso particolare, la allaccio anche se faccio 20 metri in macchina nel parcheggio». Pallini dice che un caso come quello cha ha funestato la Neos è eccezionale: «In trent’anni ne avrò sentiti uno o due del genere. Mi ricordo che a Caracas una hostess aveva riportato danni alla colonna vertebrale, ma il vuoto d’aria non era stato di 1000 metri».
Il comandante Pallini ha volato a lungo sulle rotte dell’Atlantico verso il Sud America e conosce le zone più a rischio. «La parte di oceano all’altezza dei Caraibi e della costa settentrionale del Sud America è molto soggetta a questi tipo di turbolenze» dice, «mentre se si vola verso l’Argentina e il Sud del Brasile si fa una rotta più vicina alla costa africana che è più tranquilla». Brutta è anche la Cordigliera delle Ande, «perché i venti sono deviati dal profilo delle montagne e creano correnti ascendenti e discendenti molto pericolose. Però lì questi fatti per quanto violenti sono attesi, mentre sull’Atlantico possono capitare all’improvviso, anche se il tempo è bello». Pallini segnala anche che le compagnie aeree fanno pressione sui piloti per passare sempre più vicino alle tempeste, per non fare deviazioni e risparmiare carburante: «Quand’ero giovane aggiravo il maltempo a 30 chilometri, mentre ora è frequente avvicinarsi a 15».
Ma che cos’è di preciso il vuoto d’aria? Ed è corretto chiamarlo così? Il prof. Ivo Allegrini, esperto di atmosfera del Cnr, usa l’espressione di «buchi azzurri che si aprono quando un qualunque parametro di temperatura, pressione o direzione del vento cambia d’improvviso». Nelle tempeste ci sono colonne d’aria che salgono e accanto ce ne sono che scendono, così se il pilota entra in quella ascendente e per compensare spinge giù il muso, poco dopo rischia di imbroccare la colonna discendente con un assetto che lo fa precipitare. Lo stesso può succedere, di rado, anche se il tempo è bello, e allora si parla di turbolenza in aria chiara. «Questo è pericoloso al decollo o all’atterraggio, ma non quando l’aereo è in quota», dice Allegrini. «Tranne che in caso di cedimento strutturale sotto sforzo. Ma questa è un’ipotesi di scuola».