Guido Ruotolo, La Stampa 20/11/2012, 20 novembre 2012
DA COSA NOSTRA AI FACCENDIERI SILVIO, LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO
[Dagli Anni Settanta a oggi: estorsioni e minacce da mafiosi e balordi] –
Quasi un quarto di secolo è passato da quel giorno, 17 febbraio 1988, quando il Cavaliere Silvio Berlusconi confidò preoccupato all’amico immobiliarista Renato Della Valle: «Devo mandare via i miei figli... perché mi hanno fatto estorsioni... in maniera brutta... È una cosa che mi è capitata altre volte... dieci anni fa... e sono ritornati fuori. Se non faccio una certa roba entro sei giorni... consegnano la testa di mio figlio a me ed espongono il corpo in piazza Duomo...».
Che brividi, quella ammissione. A partire dagli anni Settanta fino ai giorni nostri, Silvio Berlusconi è stato una calamita di ricatti ed estorsioni. Da Cosa nostra fino alla banda albanese -pugliese, passando per i Lavitola, i Dell’Utri, i Tarantini e le Olgettine con in testa Noemi e Ruby. Sì, anche il suo collaboratore Marcello Dell’Utri è finito indagato nel 2012 per estorsione dalla Procura di Palermo: negli ultimi dieci anni avrebbe estorto al presidente Berlusconi qualcosa come 40 milioni di euro.
È un po’ un’impresa ricostruire tutti gli episodi spiacevoli di cui è stato vittima il Cavaliere perché, di solito, Silvio Berlusconi non li ha denunciati rivolgendosi alle forze di polizia o alla magistratura. Insomma, allo Stato.
Era già un affermato e ricco imprenditore, in quegli anni Settanta flagellati dai sequestri di persona finalizzati alle estorsioni. Nel processo palermitano contro Dell’Utri, accusato di rapporti con Cosa nostra, questo punto è stato confermato anche dalla Cassazione: nel marzo del 1974 Dell’Utri portò ad Arcore lo «stalliere» Vittorio Mangano, mandato da Cosa nostra per proteggere il Cavaliere da eventuali sequestri di persona. Nel maggio del 1975, però, una bomba esplode nella residenza milanese di Berlusconi, in via Rovani. E nell’86 il Cavaliere, parlando al telefono con Dell’Utri e Fedele Confalonieri, rivela che quella bomba era stata fatta esplodere da Mangano. Quest’ultimo fu sospettato anche per un’altra bomba esplosa nell’86 sempre in via Rovani. Berlusconi al telefono con Dell’Utri: «È stato Mangano... un chilo di polvere nera... una cosa rozzissima ma fatta con molto rispetto, quasi con affetto. Mi spiacerebbe se i carabinieri, da questa roba qui, da un segnale acustico, gli facessero una limitazione della libertà...». Immediatamente dopo, Marcello Dell’Utri convoca l’amico mafioso Tanino Cinà, e davanti a lui chiama Berlusconi: «Tanino dice che (Mangano, ndr) è da escludere categoricamente. Di stare tranquillissimi...».
Passano gli anni. A Catania bruciano i locali della Standa di via Etnea. I pentiti raccontano che Cosa nostra negli anni ’89, ’90 e ’91 chiese due miliardi di lire di pizzo a Berlusconi. Lui, al processo «Orsa Maggiore», ha negato. E oggi, Silvio Berlusconi deve combattere con un esercito di lestofanti e di ricattatori: Valter Lavitola, che pretendeva 5 milioni di euro per i suoi servigi; Gianpi Tarantini, mezzo milione di euro per ricostruire un’attività imprenditoriale e 20.000 euro di stipendio al mese per le spese vive, per tacere sulle escort; e poi le ragazze delle feste «bunga bunga», pagate con uno stipendio di 2500 euro al mese perché avevano avuto le carriere stroncate poiché «ingiustamente accusate» di partecipare alle serate di Arcore; e ancora Noemi e Ruby, tutte finanziate dal Cavaliere.
Ma non è solo per questioni che lo riguardano in prima persona che si chiedono soldi a Berlusconi. Il Cavaliere è a processo con l’accusa di concorso in una fuga di notizie. Alla vigilia di Natale del 2005 l’amministratore della società che per conto della procura sta curando le intercettazioni sulla tentata scalata alla Bnl da parte di Giovanni Consorte offre ai fratelli Silvio e Paolo Berlusconi il file audio di una telefonata intercettata in cui l’allora segretario dei Ds, Piero Fassino, parlando con Consorte, dichiara: «Abbiamo una banca?». Telefonata poi pubblicata sul «Giornale» edito da Paolo Berlusconi.
E nell’ottobre del 2009 indignato per quel video che proposero di vendere alla (sua) Mondadori, Berlusconi chiamò il governatore del Lazio, Piero Marrazzo: «Gira un video che ti riprende con dei trans. Non siamo interessati all’acquisto. Chiama l’Agenzia Photo Masi, ti do il numero...».