Raffaella Silipo, La Stampa 19/11/2012, 19 novembre 2012
FESTIVAL DI ROMA
[Polemiche e fischi regola o eccezione?] –
Come mai il Festival di Roma sabato è finito tra polemiche e fischi ?
Perché due premi (migliore attrice e miglior regia) sono stati assegnati al film più criticato della rassegna, «E la chiamano estate» di Paolo Franchi con Isabella Ferrari, storia d’amore e sesso sopra le righe che già alla proiezione per la stampa era stato violentemente criticato.
È la prima volta che un film a un festival italiano riceve così tanti fischi?
No, anzi, in questo senso l’Italia ha una lunga e gloriosa tradizione di schiamazzi, soprattutto nei confronti dei connazionali. Molto fischiato è stato a Venezia nel 2004 il film in concorso di Michele Placido «Ovunque sei», con Stefano Accorsi (che sfoggiava tra l’altro, curiosa coincidenza con la Ferrari, un nudo integrale). Boati di disapprovazione e un fuggi fuggi generale avevano accompagnato la proiezione per la stampa. Placido allora aveva reagito con veeemenza: «Le contestazioni? Per me sono un invito a nozze. Nel mondo del cinema tutti fanno i carini con tutti, io no».
Altri casi?
Anche il film di Cristina Comencini «Quando la notte», storia di maternità che riecheggiava la tragedia di Cogne ma con lieto fine, è stato molto fischiato l’anno scorso a Venezia, con tanto di sghignazzi in sala. E in conferenza stampa la Comencini aveva reagito a muso duro. «In luoghi come i festival spesso le emozioni violente sono rifiutate. Restano un tabù. Ci vuole coraggio ad avere emozione. Ridere durante il film è una cosa strana. Inaudita. Civiltà vorrebbe che si guardi con rispetto e poi si scriva quello che si vuole». Era intervenuto anche il marito, il produttore di Cattleya Riccardo Tozzi: «Va bene se al termine della pellicola ti tirano i pomodori; ma le risate sono una forma di violenza, che modifica la percezione di tutto il pubblico. Non so se è un episodio spontaneo, certo Muller e Baratta dovrebbero porsi il problema».
Queste reazioni così violente avvengono anche all’estero?
Meno, ma accadono anche lì e da moltissimo tempo, il cinema evidentemente incoraggia l’esternazione di emozioni del pubblico, che non sempre vanno a braccetto con la critica: un film come «L’avventura» di Antonioni del 1960 a Cannes fu fischiato dal pubblico, ma fu apprezzato dalla giuria, che lo premiò. Molti fischi ha ricevuto quest’anno a Cannes il thriller erotico «Paperboy», con Nicole Kidman, Matthew McConaughey e Zac Efron. Forse bisognerebbe ricordare ai registi che l’erotismo estremo ai festival è a forte rischio ridicolo.
La Berlinale ha una tradizione di maggior freddezza?
Al Festival di Berlino tutto si svolge in inglese, anche l’aplomb, e infatti non ci si aspetta che a un film si possano riservare fischi e «buuu» di disapprovazione. Anche gli applausi per i film apprezzati sono sempre abbastanza miti. Persino gli italiani a contatto con questo ambiente diventano tranquilli. Eppure anche qui nel 2009 «Mammoth» dello svedese Lukas Moodysson è riuscito nell’impresa di irritare così tanto la critica riunita alla Berlinal Palast, da essere accolto da fischi unanimi.
A parte i fischi, i festival finiscono spesso tra le polemiche, perché?
Sicuramente il fatto che sia una gara non aiuta: a nessuno piace perdere. In particolare in Italia è proprio la sconfitta a essere mal digerita. Da anni un film italiano non vince il Festival di Venezia (l’ultimo è stato Gianni Amelio con «Così ridevano» nel 1998) e ogni volta all’indomani della finale ci si rimpalla le responsabilità della mancata vittoria. L’accusa più diffusa è quella di provincialismo: la lanciano i registi sconfitti che gli italiani cioè non vogliano premiare altri italiani (anche se la giuria naturalmente è internazionale) - ma anche i giurati per difendersi - che i film italiani non siano abbastanza universali Qualche esempio?
Quest’anno il grande deluso è stato Marco Bellocchio, che ha portato in gara il suo film sulla vicenda di Eluana Englaro «La bella addormentata» e non ha preso nessun premio (il vincitore è stato Kim Ki Duk) nonostante fosse stato accolto in sala da molti applausi. Nessuna recriminazione, a disturbare il cineasta è invece «la critica, pare di un membro della giuria, rivolta al cinema italiano, che sarebbe troppo provinciale, autoreferenziale, non si occuperebbe di temi universali. Non ci vengano a dare lezioni su cosa gli italiani dovrebbero raccontare al cinema». Grande delusione anche per Giusepppe Tornatore che nel 2009 non ebbe nessun riconoscimento per «Baarìa.» «L’andazzo ai festival - disse allora il produttore Medusa - è premiare i film di nicchia».
A leggere di queste polemiche par di capire che il mestiere di giurato non è poi così facile...
Già, infatti Matteo Garrone, accusato di non aver difeso abbastanza l’Italia in giuria all’ultimo festival di Venezia, ha fatto sapere «Non voglio fare mai più il giurato, soprattutto in un festival italiano». Lo stesso disse Carlo Verdone a Venezia negli Anni ’90 come giurato: «Non lo farò mai più, ho ricevuto 300 telefonate in una settimana per appoggiare questo o quel nome, non ne potevo più, ho dovuto cambiare cellulare».