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 2012  novembre 20 Martedì calendario

TRA ANGELI E DEMONI LA PANCHINA DI CIRO CAMPIONE DI CIVILTÀ

Ci vuole sempre un amico. Qualcuno che ti si siede accanto e ti dice la frase giusta in ogni momento. Io ne ho uno che se la cava comunque con l’Ecclesiaste, un passepartout: “C’è un tempo per andare avanti e un tempo per fermarsi”, “C’è un tempo per vendere e c’è un tempo per comprare”. In realtà l’aforisma definitivo del libro sacro sarebbe: “Chi accresce la conoscenza accresce la sofferenza”, ma lì andiamo sul pesante. Lo dici a chi si domanda che ne sarà di lui e lo stendi. Saggio dunque, l’amico evocato da Ciro Ferrara, allenatore della Sampdoria, che dopo sette sconfitte e alla vigilia di quell’ordalia chiamata derby gli ha detto: “Il calcio l’ha inventato il diavolo”. Par di vederlo, Ciro, in riposta, corrugare il mento e spingerlo verso quella congiunzione col naso che insegue dalla nascita, annuendo solennemente: “Eh…già!”.
Il diavolo ha in effetti inventato molte cose che ci torturano: l’amore, la speranza, i legami familiari. Il loro potere malefico è di farci provare il meglio e il peggio a fasi inevitabilmente alterne (okay “c’è un tempo per esaltarsi e un tempo per deprimersi”). Poi ci sono altre cose con le stesse caratteristiche che abbiamo inventato noi (tipo il weekend, la democrazia e, appunto il calcio) con uguali effetti, ma ci piace scaricare la responsabilità su entità soprannaturali. Chi? Il diavolo, probabilmente.
C’è lui dietro l’alterna fortuna della vita e delle opere di Ciro Ferrara, che fu un grandissimo terzino di Napoli e Juventus e forse non ebbe il dovuto riconoscimento internazionale per il suo valore. C’è sicuramente lui dietro la sua altalena come allenatore. Tutti ricordano il suo bruciante esordio alla Juventus, finito con un inedito esonero. Partenza a razzo, poi picchiata
(devastante uno 0-3 con il Diavolo). Sembrava non ci fosse domani, invece è risbucato all’Under 21 e ha pure fatto bene. L’ha riportato in serie A la Samp e Ferrara ha riproposto lo stesso copione sperimentato a Torino. C’è un tempo per vincere (le prime giornate) e un tempo per prenderle da chiunque (tutte le restanti?). Infilate di gioia o di dolore, una trama da sceneggiata napoletana: o entra il guappo e ti spara o vai dritto verso i tuoi sogni. Alla sesta di campionato è entrato il guappo, con la pistola carica e ha cominciato a contare. È arrivato fino a sette e ha caricato l’arma. Il calcio l’ha inventato il diavolo, ma i derby li ha inventati Dio. È il suo modo di emettere il giudizio: se vinci sopravvivi, se perdi vai all’inferno. E Ferrara ha vinto, con l’aiuto di tutti gli angeli. Quando il gol del raddoppio te lo regala un difensore avversario alla maniera di Bovo laggiù in area qualcuno ti ama. Aveva già la valigia pronta per andare da nessuna parte, di nuovo in viaggio, solo con i suoi demoni. Invece resta. Sarà anche la crisi economica a rinviare gli esoneri. Sarà che bisogna essere meno ricchi per diventare più pazienti, magari ricordandosi di Guidolin all’Udinese: cinque sconfitte nelle prime cinque giornate, poi qualificazione in Champions. Difficile che la Samp vada tanto lontano, ma non si sa mai: basta non crederci. Resta un solo sospetto: che l’amico di Ciro sia
Luciano Moggi e che (con qualche ragione) il calcio sia convinto di averlo inventato lui (il diavolo, probabilmente).
Dopodiché, io auguro a Ferrara di arrivare in paradiso. Per una ragione personale, anzi due. Da quando scrivo su queste pagine ho capito i personaggi che circolano intorno al calcio. I peggiori sono i tifosi: ogni mercoledì mattina, da qualunque curva scrivano, riempiono d’insulti la mia bacheca su Facebook. Li seguono a ruota i presidenti, che reagiscono con editti da satrapi decadenti. I migliori, come sempre, sono quelli che lavorano e ci mettono la faccia: giocatori e allenatori. Ogni tanto qualcuno si procura il mio telefono, chiede un confronto, lo ottiene, saluta. Il più civile di tutti è stato Ciro Ferrara. Durante il disastro juventino gli dedicai un ritratto non positivo scrivendo tra l’altro che la formazione gliela faceva qualcun altro. Chiamò, disse: “Guardi, ho fatto molti errori, ma li ho fatti di testa mia, sono io quello che sbaglia”. Sbagliava anche in questo: ero io. Poi, con egual cortesia, corresse una citazione cinematografica che avevo fatto da “Pane e tulipani”. Aveva ragione pure lì. Due a zero e palla al centro.