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 2012  novembre 20 Martedì calendario

RITRATTI

[Da Calvino a Wilde così l’arte di Pericoli racconta gli scrittori] –
Uno dei motivi ricorrenti nell’arte di Tullio Pericoli è il ritratto di scrittore. I volti che egli disegna si fondono con quel paesaggio enigmatico e solenne che è la letteratura. Mi accorgo di avere usato due aggettivi che oggi possono apparire fuorvianti, dal momento che la letteratura ha smesso da tempo di essere alta e misteriosa. Finendo col praticare strade diverse. Magari più leggere e ironiche. Ma prive di quella complessa visione che il romanzo moderno è riuscito a darci.
Se c’è un aspetto che Pericoli coglie in pieno con la sua ritrattistica è appunto la connessione fra un dettaglio del volto (la frase rivelatrice) e il suo insieme: l’equivalente di un’opera narrata, cui in qualche modo rimanda. I suoi lavori sono perciò anche racconti, i suoi volti piccoli, infinitesimali romanzi. Che costruisce con leggerezza e inquietudine. Come si addice a un artista della tarda modernità.
So bene che tutto questo potrà apparire arbitrario e che un’immagine parla soprattutto attraverso altre immagini (lo aveva perfettamente intuito Aby Warburg), eppure c’è un gesto del pensiero che sa fondere quelle immagini con le parole, in un susseguirsi di narrazioni.
È con un senso di piacere visivo che si torna al tratto leggero e colto con cui Pericoli ha “impacchettato” dieci scrittori (dieci classici) per altrettanti Meridiani (la prestigiosa collana della Mondadori). E poiché le cose — anche un po’ imprevedibilmente — si allargano, evolvono, trovano un’ulteriore ragione, ecco che ne è nato un libretto: 80 ritratti per 10 scrittori (edito negli Oscar Mondadori) e una mostra (alla Galleria Lorenzelli di Milano) arricchita, nella sera d’apertura del 22, da un dialogo tra l’artista e lo scrittore Michele Mari sui diversi modi di raccontare una faccia. Si può farlo davvero? Si può portare un linguaggio all’altezza di un altro linguaggio?
Ci fu un periodo in cui le facce una decisa normalizzazione, prendendo parte a quella grande avventura intellettuale che è stata la fisiognomica. Con Lavater e poi Lombroso, che ne fu l’estremizzazione, il volto divenne una sorta di laboratorio per la scienza materiale. Misurarne i confini, esplorarne le protuberanze, definirne i tratti fu il modo per imbrigliarne l’evasività e la potenza dissimulatoria.
Contro questa determinazione, all’interno della stessa fisiognomica, si scagliò Rudolf Kassner che applicò i principi della metamorfosi: un volto può cambiare, e cambia non solo in base al fatto che le emozioni che proviamo trasformano la nostra mimica, ma anche e soprattutto perché ogni volto è differente dagli altri. Come insegna più che la vita l’arte.
Quando disegna le facce Pericoli mima la letteratura, entra nel linguaggio del romanzo, ha l’attitudine di scrivere periodi, frasi, interpunzioni per immagini. Crea un paesaggio inconfondibile. Scrisse il filosofo Gilles Deleuze, parlando del primo piano nel cinema, che “non c’è viso che non celi un paesaggio sconosciuto, inesplorato, non c’è paesaggio che non si popoli di un viso amato o sognato, che non sviluppi un viso a venire o
già passato”. È questa intimità che forza il tempo e la storia che Pericoli ricerca nella continuità del ritratto e delle sue variazioni. Viene in mente il concetto di sfumatura come il progressivo perdersi dentro un gioco di immagini che diluendo si rincorrono. Vicinanza e lontananza, centro e periferia diventano, qui, luoghi di un paesaggio fisiognomico estroso. È l’effetto che si prova, tanto per fare degli esempi, davanti ai sette ritratti che Pericoli dedica a Baudelaire e ai dieci per Oscar Wilde. Li si osservi in sequenza. Sono fotogrammi che incorniciano le posizioni di un volto: che può essere pensoso, sagace, distante, acuto, enigmatico come accade in Baudelaire. Oppure: seduttivo, voluttuoso, arrendevole, pigro, tristissimo come è in Wilde. Quegli aggettivi non racchiudono forse la loro vita, così come l’abbiamo conosciuta anche attraverso le loro opere?
L’arte della variazione impone una disciplina visiva accessibile soprattutto a coloro che conoscendo la forza della profondità non la mitizzano. Essa dispone dell’occhio del disegnatore consapevole che dove la matita o il pennello vengono appoggiati lì può nascere un’idea nuova, impercettibilmente differente dalla precedente. La variazione disloca. Senza rinunsubirono
ciare a un’origine se ne allontana con discrezione fino a lasciarla sospesa come incerta nuvola tra cielo e terra.
Guardavo, sentendomene attratto, la serie di sette ritratti che Pericoli dedica a Italo Calvino. Ciascuno è un mondo a sé, uno stato d’animo: la pensosità chiara e distinta, la timidezza, la malinconia, la sottigliezza, la metamorfosi. Eppure un filo invisibile li lega indissolubilmente. Se si immagina tutto questo come un insieme, ecco apparire l’idea del volto sconosciuto che tutti li racchiude e li rappresenta. Ecco farsi imperiosa l’arte del ritrarre: sentirsi in un luogo dove il tempo non ha più potere. E dove vecchio e giovane più che un’età stabiliscono i confini imperturbabili della grazia.