Francesco Bei, la Repubblica 19/11/2012, 19 novembre 2012
IL CAVALIERE E LA TENTAZIONE MALINDI “O MI RICANDIDO O VADO IN KENYA”
La mattina si rivede a palazzo Chigi, la sera cade in depressione e sogna Malindi. Sono giornate strane per il Cavaliere, lì lì sul punto di ributtarsi nella mischia alla guida del Pdl eppure tentato anche dal passo indietro definitivo. Quello dall’Italia. Nei colloqui di questi giorni fa spesso capolino una citazione del Kenya, delle ville «pazzesche» sulla spiaggia viste laggiù, accompagnata dalla considerazione di non voler restare in un paese dove «i magistrati fanno a gara nel condannarmi». Prima la sentenza sui diritti tv (quattro anni e interdizione dai pubblici uffici), ma è quella al processo Ruby, in arrivo a febbraio, la vera angoscia del Cavaliere: «Mi vogliono appioppare sei anni!». Berlusconi non ci starebbe, lascerebbe l’Italia. A fine ottobre, dopo la condanna per frode fiscale a Milano, lo sentirono sfogarsi con queste parole: «Viene voglia di mollare tutto e lasciare un Paese così». Poi venne l’infatuazione per Malindi, un possibile buen retiro nel caso il Tribunale di Milano dovesse considerarlo colpevole.
Non appena la voce ha iniziato a circolare nel Pdl, alcuni hanno anche provato a sondarlo. A chiedergli se davvero stia pensando di andarsene. La risposta, per ora, è stata negativa: «Non mi faranno fare la fine di Craxi ad Hammamet ». Ma l’umore sale e scende, sulla rabbia e la voglia di riscatto a volte prende il sopravvento l’angoscia. Un’indecisione che rende ancora più incerto il cammino del Pdl. Quella che si apre oggi è una settimana decisiva, le primarie per cui Alfano ha tanto combattuto potrebbero infatti saltare del tutto. Deciderà l’ufficio di presidenza, ma anche nei colloqui di ieri ad Arcore Berlusconi ha confermato di non crederci affatto: «Il tempo a disposizione è pochissimo. Aspettiamo di vedere cosa succede nel Pd domenica prossima ». Il Cavaliere ha infatti in mano un sondaggio che dà Bersani vincente al primo turno. Se così fosse, dal suo punto di vista andrebbe meglio: il fattore anagrafico non sarebbe così rilevante e la coalizione progressista avrebbe una più marcata coloritura rossa. «Con Bersani candidato della sinistra potrei scendere di nuovo in campo io stesso».
E Alfano? Il segretario del Pdl ha come suoi Grandi Elettori i colonnelli ex An (da ultimo anche Alemanno) e l’ala Cl di Formigoni. Ma oggi a mezzogiorno, termine ultimo per la presentazione delle candidature, potrebbe arrivare la novità in grado di scompaginare tutto: Giorgia Meloni è infatti sul punto di sciogliere la riserva, nonostante il fortissimo pressing affinché desista. Sabato a Milano, alla manifestazione pro-Alfano organizzata da La Russa e Gasparri, per la Meloni c’è stata una standing ovation con cori da stadio. Il mondo ex An potrebbe così dividersi, facendo mancare truppe preziose all’attuale segretario. Tanto più che Meloni starebbe pensando di affiancarsi in ticket a un forzista come il “formattatore” Alessandro Cattaneo, sindaco di Pavia. Un altro sindaco “formattatore”, il primo cittadino di Ascoli Piceno, Guido Castelli, è già dalla sua parte. Anche Francesco Storace è sicuro che l’ex ministro della Gioventù si candiderà. Cita «fonti assolutamente attendibili » e annuncia: «Le primarie del Pdl potrebbero trasformarsi in una cosa meno triste rispetto a quella immaginata finora. Giorgia può vincere». Anche Daniela Santanchè sarà della partita, sono giorni che sta raccogliendo in tutta l’Italia firme per la sua candidatura. È tanto convinta della sua campagna da essersi scelta come spin doctor l’ex dalemiano Fabrizio Rondolino.
Intanto corre voce che Alfano abbia concordato con Fini e Casini la data del 10 marzo come election day, in modo da poter svolgere le primarie e succedere al Cavaliere. Nei colloqui si sarebbe discusso anche della legge elettorale, che avrebbe un 40% di listino bloccato e il 60% di preferenze. A via dell’Umiltà gira una simulazione fatta con un Pdl al 15%: in ciascuna circoscrizione verrebbe eletta dal listino bloccato solo una media di 1,5 candidati. Proiettata a livello nazionale significa che soltanto 25 persone avranno la certezza di un posto a Montecitorio (la nomenklatura che si è stretta intorno ad Alfano). Tutti gli altri se la dovranno sudare con le
preferenze.