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 2012  novembre 20 Martedì calendario

HOMO TABLET, L’INVOLUZIONE

Homo sapiens o Homo tablet: chi è il più intelligente? La risposta è: quello meno tecnologico dei due, quello che doveva risolvere i problemi senza Google, che comunicava senza Facebook e si informava senza Twitter. È la controversa tesi di un eminente genetista, il professor Gerald Crabtree, a capo del laboratorio genetico della Stanford university negli Stati Uniti.
Lo studioso sostiene che oggi la specie umana sia molto meno intelligente dei suoi antenati e sia protagonista di una lenta ma inesorabile involuzione. Insomma, diventeremo più stupidi ed emotivamente più fragili. La tesi di Crabtree, pubblicata sulla rivista scientifica Trends in genetics, ha scosso il mondo accademico e molti colleghi del professore sono scettici. Eppure lui è convinto di avere le prove.
LA STORIA
L’uomo avrebbe raggiunto il massimo delle sue capacità cognitive migliaia di anni fa, quando ancora combatteva contro gli elementi della natura per sopravvivere. Poi con l’invenzione dell’agricoltura, meno di 10.000 anni fa, e il conseguente sviluppo delle città, il nostro cervello sarebbe diventato più apatico. Quando l’uomo non ha più avuto bisogno di combattere per sopravvivere la selezione naturale, che favorisce i più forti e intelligenti, si sarebbe rilassata.
E tutta la tecnologia di cui ci circondiamo? Ci avrebbe avvolto l’encefalo nella bambagia. Perché la rivoluzione scientifica, più che essere una prova del nostro intelletto, ha mascherato il declino cerebrale dell’essere umano.
«Per il 99% della sua storia evolutiva l’uomo è stato cacciatore e raccoglitore, è sopravvissuto grazie alla sua arguzia e il suo cervello si è sviluppato - scrive Crabtree nel suo articolo, ripreso dall’Independent di Londra - Quando le comodità dell’agricoltura e del vivere in grandi comunità si sono fatte evidenti, le mutazioni genetiche hanno cominciato ad accumularsi». È scientificamente provato che mettendo a confronto il genoma di figli e genitori si individuino tra le 25 e le 65 mutazioni del Dna per ogni generazione. Sulla base di questo numero il professore sostiene che nelle passate 120 generazioni (che coprono circa 3.000 anni), si siano sviluppate ben 5.000 mutazioni, che per forza di cosa riguardano anche i geni legati alle capacità cognitive (sono tra i 2000 e i 5000).
LE CONSEGUENZE
Crabtree fa un esempio chiarificatore: «I nostri antenati cacciatori che non trovavano una soluzione per sfamarsi o vivere al riparo dalle intemperie, semplicemente morivano. Oggi al banchiere di Wall Street che commette lo stesso tipo di errore concettuale cosa succede? Probabilmente si porta a casa un bonus». Ecco cosa cambia: le conseguenze. Non dobbiamo sforzarci di essere dei super geni, perché il massimo che ci può capitare solitamente non ha alcun effetto sulla nostra vita quotidiana. Per questo i nostri cervelli si sono impigriti e si stanno impigrendo sempre di più, è la conclusione dello scienziato.
«Se comparisse tra noi un cittadino ateniese del 1000 a.C. sarebbe il più ingegnoso e intellettivamente acuto dei nostri amici - è convinto il genetista - Avrebbe una memoria imbattibile, un sacco di idee e una visione chiara di quali siano le questioni più importanti da risolvere. Non solo. Sarebbe anche emotivamente molto più stabile di noi. Stessa cosa per gli abitanti delle Americhe, Asia, India e Africa tra i 2.000 e i 6.000 anni fa. È proprio in quel periodo che abbiamo raggiunto il picco dell’intelletto».
La regressione futura è garantita, promette (o minaccia) il genetista. Ma rassicuriamoci. Tra 3.000 anni, prevede l’articolo di Trends in genetics, saremo sì abbastanza tonti, ma la scienza avrà progredito così tanto da permetterci di risolvere i nostri problemi.