Danilo Taino, CorrierEconomia 19/11/2012, 19 novembre 2012
GREGGIO. INIZIA L’ERA DELL’AMERICA SAUDITA
Il petrolio e il gas non sono solo un regalo di Dio o di Allah. Sono soprattutto la capacità di portarli in superficie e di renderli utilizzabili. Gli Stati Uniti ne sono la prova ultima: lì, nuove tecnologie, disponibilità di capitali e libero uso del suolo hanno messo in moto una vera rivoluzione nel mondo dell’energia. Il risultato è la nascita dell’America Saudita.
Secondo l’Agenzia internazionale per l’Energia (Iea), dal 2020 gli Usa diventeranno il primo produttore mondiale di greggio, davanti ad Arabia Saudita e Russia. E già nel 2015 supereranno quest’ultima nell’estrazione di gas naturale. Le conseguenze saranno di grande portata, ovviamente dal punto di vista economico, ma anche per i cambiamenti che ciò comporterà nelle scelte politiche e strategiche di Washington sulla scacchiera globale, a cominciare dal Medio Oriente e dal controllo di certe rotte marittime.
La Iea è l’importante agenzia che consiglia i Paesi industrializzati in fatto di energia, una specie di contro-Opec. Ogni anno, pubblica un attesissimo World Energy Outlook, un rapporto nel quale analizza le tendenze del settore. Quello della settimana scorsa ha messo in agitazione governi, ambasciate, compagnie petrolifere, società tecnologiche. Ecco le previsioni. La produzione americana di petrolio salirà fino a un picco di 11,1 milioni di barili al giorno nel 2020, quando l’Arabia Saudita, oggi il primo produttore mondiale, ne estrarrà 10,6 milioni. Dopo di allora, il regno arabo recupererà terreno ed entro il 2030 tornerà a essere il primo estrattore: la produzione degli Stati Uniti scenderà a 9,2 milioni di barili al giorno nel 2035 mentre quella saudita salirà a 12,3 milioni. Ciò che conta, però, è che gli Usa dal 2035 saranno energeticamente indipendenti, grazie al mix di carbone (sempre meno), nucleare, energie rinnovabili e soprattutto idrocarburi (sempre di più, tra greggio e gas).
Il rapporto Iea prevede che ci sarà una «continua caduta delle importazioni di petrolio negli Stati Uniti (attualmente al 20% delle loro necessità) fino al punto che il Nord America diventerà un esportatore netto attorno al 2030». In un decennio le importazioni di petrolio degli Stati Uniti scenderanno da dieci a quattro milioni di barili al giorno. Di queste importazioni — qui sta un cambiamento gravido di conseguenze — praticamente niente arriverà dal Golfo e dal Medio Oriente. A Washington già oggi qualcuno ritiene che non abbia più senso tenere la Quinta Flotta tra Golfo Persico, Mar Rosso e costa Est dell’Africa.
La rivoluzione
La rivoluzione americana nell’estrazione deriva dalla combinazione di tre fattori. Innanzitutto, due nuove tecnologie — il cosiddetto fracking, cioè la frantumazione di rocce petrolifere con acqua a grande pressione, e la perforazione orizzontale — ha consentito di estrarre da rocce di scisto ricche di idrocarburi (shale) prima gas e poi petrolio. Il processo è costoso ma l’alto prezzo del barile di greggio sui mercati lo rende attraente. Infatti, il secondo agente rivoluzionario è stato l’interesse dei privati, che nella nuova opportunità hanno investito pesantemente: il governo americano non ha infatti alcun merito nella svolta energetica, negli ultimi anni ha preferito puntare, con scarsissimo successo, prima sull’etanolo (George W. Bush) e poi sulle rinnovabili (Barack Obama). Il terzo fattore sta nella possibilità che i petrolieri americani hanno avuto di perforare liberamente su terreni privati, senza vincoli federali.
Non è detto che le previsioni della Iea si realizzino pienamente. Ostacoli ambientalistici e modifiche nell’economia del mercato potrebbero rallentare e modificare lo scenario. La rivoluzione, però è una realtà indiscutibile già ora. Permetterà agli Stati Uniti di avere una bilancia commerciale più forte e probabilmente influirà sulle scelte strategiche del mondo. Per esempio, i Paesi Opec sono sotto shock, ma la loro produzione non soffrirà del boom americano: la Iea prevede anzi che la quota di petrolio Opec sul totale salga dal 42% di oggi al 50% del 2035; ma ciò significa che Golfo e Medio Oriente esporteranno il 95% del greggio verso l’Asia. Sarà dunque, tra non molti anni, la Cina a dover garantire le rotte marittime delle petroliere che escono dal Golfo attraverso lo Stretto di Hormuz?
E l’Europa? Anche nel Vecchio Continente ci sono grandi quantità di idrocarburi da rocce di scisto. Mancano però quasi ovunque petrolieri, capitali e regole leggere. L’Europa Saudita non è in vista.
Danilo Taino