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 2012  novembre 19 Lunedì calendario

LA GUERRA PRIVATA DEL PADRE CHEF E DEL RAGAZZO FERMATO

Come stai? «Eeehh... oddio, sto abbastanza sbattuto». Giornatacce toste... «Mbe’, prima il carcere, poi ’sta situazione con mio padre: no, non sto un fiore». Che sia o meno un cattivissimo delle barricate, Christopher ammorbidisce il cronista con quella voce da ultrasinistra studentesca romana — immutabile nelle generazioni — un po’ strascinata «alla Lorenzo», l’eterno ripetente di Corrado Guzzanti.
Vent’anni, matricola di Scienze politiche alla Sapienza dopo due bocciature al liceo, una frase di Ulrike Meinhof orgogliosamente sbandierata sul profilo Facebook («se dai fuoco a una macchina è reato, se ne bruci migliaia è un’azione politica») ma scarsa confidenza col Pasolini più citato («la poesia sui poliziotti del Sessantotto? Mmmhh... non ce l’ho presente»), questo ragazzo sarebbe stato uno qualsiasi degli otto studenti fermati mercoledì scorso dopo i tafferugli sul Lungotevere e tutti scarcerati venerdì, se suo papà non avesse deciso di prendere in contropiede il mondo dei genitori piagnoni e pronti a giustificare il pargolo purchessia.
Giorgio Chiesa, imprenditore e chef con tanto di stella a Cuneo, si è fatto dunque intervistare dal Giornale, dichiarando che tirare fuori da Regina Coeli quel suo figliolo scavezzacollo è stato un errore: «Dovevano tenerlo dentro più a lungo, senza una punizione gli togliamo persino il senso di colpa». Il giorno dopo, rettifica appena il tiro sul giudice che ha liberato Christopher: «Lungi da me accusare il gip, sono stato frainteso. Ma confermo la mia condanna di atti impropri se comprovati. Mi appello ai brigatisti storici: schieratevi al mio fianco contro la violenza. Parlo da padre, ci sono arrivato soffrendo a dire queste cose». Poi, certo soffrendo, il buon Giorgio corre a ripeterle anche in favore di telecamera, nel pomeriggio domenicale di Canale 5, da Barbara D’Urso, mischiando così gli appelli pensosi agli accenti magari più ammiccanti dei calderoni nazionalpopolari. Insomma, s’intravede una certa confusione sotto il cielo dei Chiesa, malumori familiari e lontananze politiche bollono dentro la stessa pentola scodellata nel tinello degli italiani. E ad annaspare in mezzo alla minestra c’è lui, questo ragazzino indagato per reati che comportano pene dai tre ai quindici anni («resistenza e violenza pluriaggravata», conferma il suo legale, Serena Tucci), che si proclama innocente, «i filmati lo dimostreranno», e tuttavia dopo ogni retromarcia fa due passi avanti, come usano gli adolescenti tardivi e testardi.
I poliziotti in fondo sono ragazzi come voi, no? «Non so, non direi. Fare il poliziotto è una scelta. Non dettata dalla crisi. Non è che non ci sia altro rifugio che la polizia. Io faccio l’università e lavoro come giardiniere...». Veramente papà sostiene che fai la rivoluzione coi suoi soldi, che ti paga casa a Monte Mario. «Va bene, mio padre mi aiuta nell’affitto, ma io mi pago il resto delle spese». Ce l’hai con lui per l’intervista? «Senta, me l’aspettavo. Sabato sera mi s’è presentato sotto casa e abbiamo litigato di brutto. Lui mi diceva: è poco quello che ti è successo, ti dovevano dare anni di galera. Sicché, quando la mattina dopo ho visto l’articolo ripreso da Tgcom24, mica mi sono meravigliato... E comunque io sono contro la violenza. Lo sa perché?». No, perché? «Perché la violenza ce l’avevo in casa quando lo andavo a trovare, usava la cinta per insegnarmi l’educazione: la violenza è lui. Questa è una sua piccola vendetta».
E qui le lingue s’imbrogliano. Il personale è politico, si diceva negli anni Settanta che tanto sembrano aver segnato la formazione di papà Giorgio («ho 52 anni, ricordo bene la coda di violenza di quel periodo»). Ma, nell’universo frantumato dei Chiesa, è piuttosto il politico ad essere personale. Nel senso che oltre le barricate pubbliche si intravede una complicata vicenda di famiglia. Giorgio si è separato quindici anni fa, ora ha un’altra moglie e una figlia di otto anni: «Le ho detto tutto del fratello, deve capire, sapere, noi adoriamo Christopher, lo adoriamo». Christopher di tanta adorazione non sembra essersi accorto, in anni di crescita certo difficile, con una mamma sola e logicamente molto protettiva, ora cassintegrata Alitalia e dunque forse anche un po’ esasperata. «Papà non si è mai interessato a me, adesso vuole recuperare e si mette a sparare sentenze», racconta il giovane rivoluzionario. «Io mi sono sempre interessato a lui, non ho mai smesso di seguirlo, di sostenerlo economicamente e moralmente. Piuttosto è sua madre che si mette in mezzo, che lo guida e lo indirizza, ed è difficile per i padri separati avere un rapporto coi figli», giura il papà censore. E qui davvero l’antagonismo c’entra pochissimo, più che i Modena City Ramblers la colonna sonora giusta potrebbe essere Father and son di Cat Stevens. Anime nella tempesta.
«Comunista mio figlio? Ma nemmeno quello! I comunisti sono legalitari, lui è iscritto a un centro sociale. E poi lui quando faceva il rappresentante di classe era l’ultimo della sua classe. Devi dare l’esempio, studia, gli dicevo io... macché. Adesso gestisco alberghi e ristoranti, di lavoro ne avrebbe se volesse. Ma lui vive molto meglio di tanti poliziotti che sono stati aggrediti negli scontri...».
«Io, iscritto a un centro sociale? Mi fa ridere. L’unica iscrizione ce l’ho all’università, io, alla facoltà di Scienze politiche. Lavoro tre giorni a settimana, non ho un momento libero tranne la domenica, gliel’ho detto che faccio il giardiniere, no? Però non so cosa farò dopo, ci devo pensare. L’università è importante, molti politici di adesso l’hanno fatta poco da giovani. E non capiscono, non capiscono la gente. La violenza, ripeto, è condannabile, ma quando la gente ha fame, alla fine, siamo tutti esseri umani».
Scrittore preferito? «Non leggo romanzi». Saggi, allora? «Boh, al momento non me ne viene uno in mente». Io simpatizzavo coi poliziotti, scriveva Pasolini nel ’68. Pare di sentirli, oggi, Christopher e i suoi fratelli che gli rispondono in coro Maddecheaò?, arroccati sull’ultima barricata, la più inespugnabile, quella di Lorenzo il ripetente. È la rivoluzione 2.0, e non c’è guerra dei Chiesa che possa fermarne la marcia verso il nulla.
Goffredo Buccini