Francesco Rutelli - Aldo Grasso, Corriere della Sera 19/11/2012, 19 novembre 2012
RUTELLI: LA MIA LOTTA (SENZA RISENTIMENTI) ALLA LIBERTA’ DI DIFFAMARE
Caro direttore,
la battaglia che conduco in Parlamento sulla legge in materia di diffamazione non ha niente a che vedere col risentimento. È una battaglia di anni, la cui rocciosa radice risale al giorno dei funerali di Enzo Tortora, circa 25 anni fa, in Sant’Ambrogio a Milano. Tortora volle essere sepolto in compagnia di una copia della «Storia della Colonna infame» del Manzoni: giornalista di talento e cultura rari, Enzo era stato distrutto da molte cause, non ultima l’accettazione iniziale da parte di tanti suoi colleghi giornalisti dell’infamia che egli fosse, nientemeno, un «capo della camorra». Molti altri casi di calunnia ho combattuto, e sono pronto a ricordare. Dunque, mi sono opposto a viso aperto (altro che «colpo di mano», o «torbido emendamento», come ha scritto ieri sulla prima pagina del Corriere Aldo Grasso) a trasformare una norma per salvare dal carcere il direttore Sallusti in una sostanziale libertà di diffamare. La diffamazione, infatti, è un reato orrendo: significa propagare il falso a danno di un innocente. E c’è interesse attorno a questa battaglia: lo si vede dagli ascolti molto alti delle trasmissioni tv cui ho partecipato (Agorà di Vianello, Otto e mezzo di Gruber), e dai molti consensi che arrivano. Tre altri specifici temi sollevati da Grasso richiedono una mia precisazione. 1. Che con quell’emendamento si «introduce la reclusione fino a un anno per i giornalisti che diffamano». Ma la legge in vigore prevede, oggi, la pena del carcere da 1 a 6 anni! Dunque, l’emendamento non introduce, ma riduce drasticamente questa previsione: la mantiene per casi assolutamente estremi, come avviene praticamente in tutta Europa, e come è giusto che sia. 2. Io sono stato calunniato, nel caso Lusi. E si converrà che questo non è un buon motivo per interrompere proprio oggi le mie convinzioni liberali contro il celebre motto Baconiano: «Calunniate, calunniate. Qualcosa resterà». Sono contento che il critico tv del Corriere scriva «mai abbiamo pensato che Rutelli si sia messo in tasca un solo centesimo». Magari avrei apprezzato un’espressione non conformista da parte sua nel criticare chi invece lo ha scritto e, scrivendolo, mi ha gravissimamente diffamato nei mesi scorsi. Infatti — mi si consenta questa deviazione, visto che ancora molti non l’hanno capito — diversamente da quanto pubblicato ieri, l’inchiesta giudiziaria ha precisamente documentato «come fosse possibile non accorgersi» dei furti del tesoriere da parte dei numerosi organi di controllo della Margherita (che aveva bilanci in attivo). Cosa ancora più importante e, vedo, tuttora trascurata: si crea un fatto senza precedenti recuperando il danaro sottratto, che non viene restituito al partito, ma devoluto allo Stato italiano. Dopo la certificazione dell’onestà, con il recupero del maltolto si ristabilisce anche la serietà dei dirigenti della Margherita. 3. Più che la favola della «volpe e l’uva», vedo nell’articolo di Grasso emergere quella del «lupo e l’agnello». Ovvero: siccome anch’io sono stato diffamato, non dovrei battermi contro i diffamatori. Tesi rispettabile, ma ardita. Nel ringraziarlo, quando ricorda le mie passioni per l’ambiente e la cultura, e «per essere stato un buon sindaco di Roma» voglio ricordare che la mia determinazione nel difendere non solo l’onore dei diffamati, ma anche il mio, risale certamente anche alla coscienza di aver svolto funzioni pubbliche, costruito grandi e importanti opere pubbliche, gestito importanti risorse pubbliche, servito — spesso in minoranza — l’interesse pubblico sempre rifuggendo il vantaggio privato.
Francesco Rutelli
Prendo atto delle battaglie in Parlamento di Rutelli: la prossima volta, però, prima di farle, impari a chiudere le porte, altrimenti i buoi scappano un’altra volta. (a.g.)