Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 19 Lunedì calendario

UN SILENZIO ASSAI RUMOROSO

Adesso che in pratica sta iniziando la campagna elettorale è il momento di fare un bilancio di come i partiti hanno impiegato l’anno di tregua offerto loro dalla presenza del governo Monti. Anche perché è stata una presenza che da sola ha significato un continuo memento ai partiti stessi sia della loro inadeguatezza in un momento decisivo (vedi fuga generale nel novembre scorso di fronte al baratro in cui stava per precipitare il Paese), sia della loro condotta dissennata degli ultimi trent’anni. Insomma: gli argomenti su cui riflettere e discutere, e magari fare qualche autocritica per presentarsi agli elettori con un volto nuovo, non sono mancati di certo.
Invece niente. Dilettantismo e incapacità della leadership berlusconiana e dei suoi «colonnelli»; un Partito democratico e una sinistra da anni alle prese con il problema irrisolto di che cosa essere e con chi; concezioni errate della democrazia, del merito e dei diritti, immesse a piene mani per decenni nella società e nell’amministrazione pubblica con il consenso generale; un federalismo demenziale avallato da tutti; un welfare costruito in modi e misure incompatibili con le risorse: su tutte queste cose non si è sentito nulla se non un grande silenzio. Di bilanci del passato neppure l’ombra. Così come neppure la minima spiegazione del perché si è arrivati al baratro di cui sopra: gli elettori di destra, immagino, convinti che sia stata tutta colpa di Fini e della Merkel, quelli di sinistra invece, che la colpa sia stata naturalmente tutta di Berlusconi.
Ma l’esempio più clamoroso dell’afasia intellettuale e politica che attanaglia i partiti italiani mi sembra il fatto che pur arrivati al punto dove siamo arrivati a nessuno di essi (come del resto, intendiamoci, a nessuno dei nuovi «poli» e «poletti» del notabilato centrista) venga in mente di mettere all’ordine del giorno il problema della Costituzione. Ma come? In pratica negli ultimi anni intere parti di essa sono state virtualmente disattese o clamorosamente distorte, alcune sue nuove parti sono considerate da tutti un’autentica sciagura (vedi il famigerato Titolo V), il sistema del bicameralismo perfetto da essa istituito è con tutta evidenza una cosa che non regge, alcuni organi da essa previsti come il Cnel non servono assolutamente a nulla, ma pur con tutto ciò nessuno ha qualcosa da dire, da suggerire, da proporre. Quasi che ormai sia prevalsa l’idea che tanto le regole non servono a nulla; e che dunque la Costituzione italiana non sia altro che un puro totem ideologico. Il totem per l’appunto che tra qualche settimana Roberto Benigni — a dispetto che egli della Costituzione e di tutto ciò che le sta dietro non sa giustamente niente di niente — tuttavia chiamerà le folle televisive ad adorare, avendo deciso lui, dall’alto della sua sapienza, che la nostra è la Costituzione «più bella» (questo precisamente il titolo annunciato della trasmissione-rito).
E così è semplicemente ovvio che alla fine, non avendo ripensato nulla del passato, non avendo meditato affatto sugli errori gravissimi commessi da loro e dal Paese, oggi i partiti della Seconda repubblica non riescano a dire nulla neppure del futuro dell’Italia.
Dalla bocca dei loro leader escono solo propositi vaghi, insignificanti: mai l’impegno di fare una cosa precisa, con l’indicazione dei tempi e dei mezzi necessari. Mentre la formula «Monti dopo Monti o Monti bis», ripetuta all’infinito come una giaculatoria perché evidentemente ritenuta carica di significati forti, suona in realtà sempre di più come la formula della massima deresponsabilizzazione («È lui, mica noi, che dovrà decidere come togliere le castagne dal fuoco»). Tanto, quello che importa — sembra essere la lezione dell’ultimo anno — non è governare: è prendere i voti per sedere in Parlamento.
Ernesto Galli della Loggia