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 2012  novembre 19 Lunedì calendario

LA GRECIA NELLE MANI DELLA PIAZZA

Durante il dibattito sul pacchetto di
tagli e tasse per 13,5 miliardi di euro, approvato dal Parlamento greco il 7 novembre, Alba Dorata, partito dell’estrema destra nazionalista,
ha votato contro, come era prevedibile, e ha lasciato al suo portavoce, Christos Pappas, il compito di spiegarne le ragioni.
Christos Pappas ha rievocato il drammatico incontro, nella notte fra il 27 e il 28 ottobre 1940, fra l’ambasciatore d’Italia Emanuele Grazzi e il Primo ministro Ioannis Metaxas. Grazzi aveva svegliato Metaxas alle tre del mattino e gli aveva consegnato l’ultimatum con cui l’Italia di Mussolini chiedeva al governo greco di autorizzare l’ingresso di truppe italiane nel suo territorio. La risposta non fu il «no» che i greci ricordano ogni anno nel giorno — il 28 ottobre — che è oggi la loro festa nazionale. Ma fu altrettanto esplicito: «Alors c’est la guerre», allora è la guerra. «Così — ha detto Pappas — avreste dovuto rispondere alla troika (i rappresentanti della Commissione di Bruxelles, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale) quando vi ha imposto le sue condizioni».
Metaxas era un dittatore, capo di un regime che aveva preso a prestito formule e liturgie dell’Italia fascista e della Germania nazista. Non è sorprendente che Alba Dorata si appropri di quell’episodio per conferire maggiore dignità a se stessa e una sorta di coerenza storica alla sua politica contro un governo «servo dell’Europa». Ma nelle reazioni greche ai piani di risanamento varati dalla coalizione di Antonis Samaras, il nazionalismo serve spesso a coprire motivazioni meno nobili. Durante il dibattito parlamentare sul pacchetto, gli impiegati della Camera hanno inscenato una manifestazione contro il governo sostenendo che le loro funzioni non potevano essere assimilate a quelle di altri «statali». Il governo ha fatto un passo indietro ed è stato possibile continuare il dibattito sino al voto. Ma nelle stesse ore un gruppo di poliziotti dimostrava nelle vie di Atene con un cartello su cui era scritto: «Noi proteggiamo quelli che ci proteggono».
Dietro l’orgoglio nazionale, quindi, vi sono uno Stato ricattato dai suoi servitori e una straordinaria varietà di interessi corporativi. A dispetto delle sue grandi tradizioni e della vivacità intellettuale dei suoi cittadini, la Grecia è il Paese in cui gli armatori (la maggiore industria del Paese) sono esentati dalle tasse, l’evasione fiscale è uno sport nazionale, la percentuale del lavoro nero supera quella italiana, la classe politica ha gonfiato gli organici della pubblica amministrazione per ingrossare il proprio elettorato e i ricchi mandano i loro soldi all’estero. Negli scorsi giorni è stato processato per «violazione della privacy» (e fortunatamente assolto) un giornalista che aveva avuto l’ardire di pubblicare sul suo giornale online i nomi di duemila greci, titolari di conti presso la filiale svizzera di una vecchia banca britannica (HSBC). I duemila appartenevano a una lista di 24 mila clienti caduta nelle mani di Christine Lagarde, allora ministro francese delle Finanze. Alla signora Lagarde era parso utile farne dono al collega greco che aveva trasmesso alcuni nomi alla sua polizia tributaria. Ma non appena il ministero greco delle Finanze ha cambiato titolare, nel giugno del 2011, la lista è rimasta in un cassetto. Il nuovo ministro era Evangelos Venizelos, oggi successore di George Papandreou alla testa del Pasok, il partito socialista che è passato dal 43,92% del 2009 al 12,28% delle ultime elezioni. Venizelos si è battuto per l’approvazione del pacchetto «tagli e imposte» e ha cacciato dal partito i deputati socialisti che avevano votato contro il governo. Ma la vicenda dei duemila evasori getta un’ombra sulla sua reputazione. Wolfgang Schaüble, ministro tedesco delle Finanze, non ha torto quando dichiara, come all’ultima riunione del Fondo monetario nello scorso ottobre, che i problemi della Grecia «sono stati causati dalla Grecia e che tocca alla Grecia risolverli».
Antonis Samaras, leader di Nuova Democrazia e presidente del Consiglio dopo il breve intervallo «tecnico» del governo presieduto da Lucas Papademos, sembra esserne consapevole. Ha evitato di cavalcare gli umori anti-tedeschi del Paese, ha coltivato i rapporti con Angela Merkel, ha presieduto alla preparazione di un pacchetto e di una legge di bilancio, approvata dal Parlamento domenica scorsa, che corrispondono ai criteri dettati dalla troika e dovrebbero consentire l’arrivo dei fondi necessari per il rifinanziamento del debito. Ma la drastica riduzione dei salari e i licenziamenti nella funzione pubblica (30 mila nel 2013) hanno colpito tutte le fasce sociali e tutti i gradi della pubblica amministrazione creando forti risentimenti. Per certi aspetti si potrebbe sostenere che il governo Samaras è stato equo perché tutti i greci sono responsabili dell’artificiosa euforia in cui il Paese ha vissuto dopo l’adesione alla Comunità europea e, più tardi, dopo l’adozione dell’euro. Ma il quadro generale è quello di una società arrabbiata e delusa che non sa più come e su chi scaricare la propria rabbia. Il rischio maggiore, paradossalmente, non è l’instabilità politica. Alexis Tsipras, leader di Syriza (il partito che è giunto secondo nelle elezioni dello scorso giugno) chiede il ritorno alle urne per dare un senso alla propria politica di opposizione e presentare se stesso come una credibile alternativa. Ma è alla guida di una confederazione composta da tredici frazioni, di cui alcune sono staliniste, trotzkiste, maoiste, anarco-sindacaliste. Sa che potrebbe governare soltanto rovesciando interamente la sua linea e preferisce lasciare che il problema, per il momento, resti sulle spalle di Samaras. Il vero rischio è la piazza. Le misure adottate dal governo si conformano alla ricetta prescritta dell’Europa e rispondono effettivamente agli interessi del Paese nel medio termine. Ma contribuiscono al crollo di una economia che ha già perduto, negli ultimi anni, un quarto delle sue dimensioni. Quale è il grado di sopportazione della società greca? Le dichiarazioni della Germania e degli altri partner europei sono sempre, quali che siano le intenzioni con cui vengono pronunciate, sbagliate. Quando la Germania dice che il problema greco è un problema dei greci, le sue parole vengono usate per evocare il ricordo della durezza tedesca ai tempi dell’occupazione. Quando la stessa Germania dice che la Grecia deve assolutamente restare nell’euro, le sue parole permettono a Tsipras di affermare che il governo, se ne avesse il coraggio, potrebbe giocare le sue carte con maggiore fermezza. In queste condizioni, se non verranno adottate misure più coraggiosamente generose, il problema della Grecia potrebbe diventare non soltanto politico ma anche e anzitutto umanitario. Ho chiesto a un vecchio diplomatico se qualcuno, a Bruxelles, stia già studiando un programma di assistenza alimentare e sanitaria per una fase di turbolenta emergenza sociale. Non lo sa, ma è convinto che in questo caso i soldi diventerebbero immediatamente disponibili: gli stessi soldi che, se dati al momento opportuno, avrebbero potuto evitare il peggioramento della crisi.
Sergio Romano
1 - continua