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 2012  novembre 18 Domenica calendario

ROMNEY TRADITO DA UNA APP

Dentro la sconfitta di Mitt Romney alle recenti presidenziali americane non ci sta solo il voto delle donne o quello dei latinos. C’è anche un gap tecnologico, reso evidente dal fallimento del «progetto Orca», la piattaforma digitale che doveva essere l’arma segreta della campagna repubblicana e si è dimostrata, invece, quello che nel gergo della Rete si chiama un «epic fail», un fiasco di proporzioni omeriche. Quando lo presentarono al canale Pbs, qualche settimana fa, i giorni della riconferma di Barack Obama alla Casa Bianca sembravano contati: lo staff di Romney aveva messo a punto una app avanzatissima, che avrebbe messo decine di migliaia di volontari in grado di seguire in tempo reale le operazioni di voto e segnalare eventuali problemi ai seggi, consentendo al quartier generale repubblicano a Boston di intervenire rapidamente per risolverli.
Dal momento che gran parte dello sforzo elettorale negli Stati Uniti consiste nelle operazioni Gotv (Get Out The Vote) per portare gli americani a votare, sembrava che il G.O.P. (il Grand Old Party) avesse trovato la contromossa vincente da opporre ai Big Data, la massa di informazioni sensibili gestite dai database della squadra di Obama (e d’altra parte il nome in codice Orca deriva proprio dal fatto che questa creatura marina è l’unica predatrice del «narvalo», il nickname usato dalla squadra del presidente per indicare il suo sistema digitale). L’app, però, non era stata testata adeguatamente, e già durante l’election day si sono cominciati a verificare una serie di guasti tecnici: molti volontari hanno segnalato via Twitter che avevano enormi difficoltà a inserire i dati, come avrebbe poi impietosamente raccontato sul suo blog John Ekhdal, militante della campagna di Romney. Il sistema è rimasto a lungo silenzioso e ingolfato; secondo diversi testimoni avrebbe addirittura crashato, anche se il responsabile dell’area digitale del candidato repubblicano, Zac Moffatt, difende d’ufficio Orca: «Le informazioni ci sono arrivate, non si può dire che non abbia funzionato, abbiamo avuto il 91% delle contee inserite nel sistema, 14,3 milioni di elettori registrati e soltanto 5.397 segnalazioni di problemi ai seggi». Quelle che dovevano essere il terminale nervoso sul territorio degli uffici di Boston si è trasformato in un collo di bottiglia: qualcuno addirittura ha attribuito a Orca la mancata mobilitazione negli Stati chiave, come Ohio o Virginia.
Uno dei due padrini dell’operazione, Rich Beeson — l’altro è Dan Centinello dell’ufficio organizzativo della campagna — continua, nonostante tutto, a difendere la sua creatura: «Il sistema non era perfetto e non abbiamo mai detto che lo fosse. Ma, guardando in prospettiva, possiamo dire di essere all’inizio di qualcosa che si rivelerà molto, molto efficace». Può essere, visti gli sviluppi positivi dell’area digitale degli avversari democratici: dal «data mining» — l’estrazione online di informazioni sugli elettori — ai sistemi di «ottimizzazione» del «product placement» di Obama negli spazi pubblicitari sul web e in tv. Ma quando Ekhdal si è visto recapitare nella sua casella di posta elettronica la notte prima del voto il manuale di utilizzo di Orca, un pdf di oltre sessanta pagine, aveva già capito che non sarebbe andata bene. Risultato? Che «trentamila tra i volontari più attivi e militanti si sono ritrovati a vagare confusi e frustrati», meditando sulla «amara ironia di un candidato che, a parole, era per il governo minimo, e invece stava sacrificando la struttura locale del suo sforzo di mobilitazione a una organizzazione anonima e centralizzata in un posto remoto».
Filippo Sensi