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 2012  novembre 18 Domenica calendario

IL RAGAZZO CON LA FACCIA INSANGUINATA: «E DICONO CHE LI HO AGGREDITI IO» —

«Come sto? Diciamo che in vita mia sono stato meglio. Mi gira la testa, ho la nausea. E gli ultimi giorni me li ricordo a tratti. I colpi dei poliziotti però ce li ho ancora bene in mente. L’immagine più nitida è quando mi hanno alzato di peso e sbattuto dentro la camionetta della Celere». Riccardo Masoch, 24 anni, bellunese, studente di Filosofia alla «Sapienza» di Roma, è sfinito. È uno degli otto arrestati per gli scontri sul Lungotevere di mercoledì scorso e fra i sei scarcerati con l’obbligo di firma in commissariato. Ma è soprattutto il ragazzo manganellato mentre era già stato bloccato a terra dal poliziotto ora indagato dalla procura. Quell’immagine, insieme con le foto del suo volto insanguinato, ha fatto il giro del mondo. «Venerdì notte sono uscito con gli altri da Regina Coeli, è stato commovente, ci siamo abbracciati — racconta dalla sua casa romana nel rione Prati —, poi ho dormito pochissimo. E ho dolori dappertutto, due tagli sulla testa suturati con 12 punti, un labbro rotto (altri 4 punti, ndr), contusioni in mezzo alla schiena, sulla spalla destra e sul polso sinistro. Otto giorni di prognosi, ma forse ne avrò altri».
La prima giornata da uomo libero l’ha trascorsa in commissariato. «Ho la firma tutti i giorni alle 9, alle 15 e alle 19 e non so per quanto tempo ancora», spiega lo studente. «Mi accusano di resistenza e lesioni aggravate a pubblico ufficiale, ma non so proprio come le avrei commesse — aggiunge Masoch —. Anche il poliziotto ha avuto otto giorni: sul verbale d’arresto c’è scritto che l’avrei colpito durante il tragitto verso la camionetta dopo essermi divincolato da lui e da un suo collega, ferendolo alla testa. Ma come facevo in quelle condizioni?». All’operatore indagato cosa vuole dire? «A lui nulla e nemmeno agli altri che stavano con lui — dice ancora lo studente —. Se proprio dovessi rivolgermi a qualcuno lo farei con chi governa la polizia di Stato. Posso capire che siano in difficoltà anche loro per i tagli e la crisi economica, ma un conto è fare un lavoro, per quanto difficile, un altro è non avere non solo il lavoro, ma nemmeno un futuro. E senza protestare sotto ai palazzi del potere, come avviene in tutto il mondo, perché si viene presi a manganellate. È fuori da ogni logica. Una soluzione — propone — sarebbe quella dei numeri identificativi sui caschi e sulle divise degli agenti». E ancora: «Non so se mi costituirò parte civile contro di lui, studio filosofia non legge. Mi consulterò con il mio avvocato e poi deciderò. Ma ci penserò bene».
Il video in cui viene picchiato, Riccardo lo ha visto in carcere: «Ricordo che stavo in testa al corteo, quando è partita la carica, scomposta e violenta. Mi sono ritrovato in un attimo con la testa sanguinante, strattonato da tutte le parti, bloccato da 3-4 agenti. Sulla camionetta abbiamo fatto un giro lunghissimo prima di arrivare in commissariato. E più si riempiva di fermati, più i poliziotti erano nervosi. Non ci maltrattavano, ma volavano insulti». Per lui quella giornata, cominciata alle 9 con la manifestazione, si è conclusa alle 3 di notte a Regina Coeli.
«Al commissariato Viminale, come all’identificazione a Tor Cervara e durante le perquisizioni, non ci sono stati problemi — ricorda Masoch —. Mi hanno curato prima su un’ambulanza e poi in ospedale. In camera di sicurezza con Stefano Minore (il suo arresto non è stato convalidato), poi in carcere da solo, in chirurgia. I detenuti ci hanno mostrato grande affetto. "Noi abbiamo sbagliato ed è giusto che siamo qui a pagare — dicevano — ma voi non avete colpe, stavate solo manifestando"». E i caschi, gli scudi? Perché gli scontri? «Al massimo sono strumenti di autotutela e poi i "book bloc" sono solo di cartone e gommapiuma. Ce li hanno copiati negli Usa, in Olanda, in Brasile e in Spagna. Ripeto, volevamo raggiungere i palazzi del potere, circondarli per dire a chi ci governa, che non è stato nemmeno eletto dal popolo, che le sue decisioni e quelle della Bce incidono gravemente sulla nostra generazione. Per questo, appena possibile, tornerò in piazza. Non si può fare altro».
Rinaldo Frignani