Marco Lillo e Ferruccio Sansa, Il Fatto Quotidiano 16/11/2012, 16 novembre 2012
RACCOMANDÒ CONDANNATO: TREMA IL N. 2 DELLA POLIZIA
[Marangoni, manganelli e il commissario che rilasciò il porto d’armi a un assassino] –
Daniela Zaniboni è una signora milanese di 50 anni che misura le parole: “Sono perplessa”, dice quando i cronisti del Fatto le raccontano che il nuovo vicecapo della Polizia, Alessandro Marangoni (l’uomo scelto dal ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri per affiancare Antonio Manganelli) ha raccomandato per la promozione a dirigente il commissario V., già condannato nel 2010 a un anno e 10 mesi per avere rilasciato il porto d’armi all’uomo che le ha rovinato la vita. Una perplessità che aumenta quando si scopre che il commissario, grazie alle valutazioni sempre contrassegnate dal voto “ottimo” dei suoi superiori, non ha subìto conseguenze disciplinari e ha continuato a fare carriera nonostante la legge Brunetta imponga, dal 2009, che il funzionario pubblico condannato per colpa grave debba essere sospeso dal servizio.
IL GOVERNO MONTI non ha nulla da dire, tanto che ha nominato Marangoni vicario di Manganelli, poche ore dopo avere ricevuto un comunicato del sindacato di Polizia Italia Sicura nel quale queste circostanze erano segnalate e documentate. È il 5 maggio 2003, quando Daniela, logopedista con un grande futuro, esce con lo scooter. Ma alle 15 e 28 in via Carcano vede un uomo a terra che implora aiuto e tenta di sfuggire alla furia di Andrea Calderini, il trentunenne che quel giorno uccise nel suo palazzo la moglie e una vicina di casa e poi sparò dal balcone ferendo gravemente tre persone prima di togliersi la vita. “Ho avuto solo il tempo di fermarmi per capire cosa potevo fare per quell’uomo a terra e ho sentito i due colpi alla schiena. Sono caduta e da quel momento la mia vita è cambiata. Sono condannata a stare su una sedia a rotelle, ho bisogno sempre di una persona che mi aiuti e, per colpa delle barriere architettoniche, non riesco più a vedere i miei amici. Non posso più viaggiare come facevo prima e quel giorno anche la mia carriera è finita nel cesso. Ogni giorno pago per colpe non mie. Ora scopro che chi è stato condannato per avere colpevolmente concesso il porto d’armi alla persona che mi ha ridotto così, non solo non ha subìto alcuna modifica nella sua vita privata e professionale, ma addirittura è stato promosso”. Cosa pensa della raccomandazione del nuovo vicecapo della Polizia nella quale si dice che V. ha rafforzato il prestigio dell’istituzione? “Non capisco come possano accadere cose simili. Io so solo che agli atti, quando è stato concesso il porto d’armi a Calderini, c’erano già numerose denunce di condomini per aggressioni e lesioni”. Il 5 febbraio 2003 il commissariato milanese Fiera rilascia il porto d’armi per il tiro a volo con il fucile, che però legittima il titolare a comprare anche altre armi, a Calderini.
IL 31 MARZO 2003 Calderini compra regolarmente la pistola “45 Kimber” della strage. Per questa storia il poliziotto è stato condannato in via definitiva nel 2010 a 1 anno e 10 mesi per concorso di causa in omicidio con risarcimento in favore delle parti civili in solido con l’amministrazione di 750.000 euro “per colpa consistita in imprudenza, imperizia negligenza, inosservanza di leggi regolamenti e discipline (...) rilasciando, nella sua qualità di dirigente del commissariato (...) l’autorizzazione al porto di fucile (...), nonostante esistessero presso il commissariato numerosi atti rilevanti ai fini di una valutazione negativa”. Eppure la carriera del funzionario non subisce alcuno stop. Anzi. Nell’ultimo concorso ha compiuto un salto in graduatoria di 686 posizioni e ha così agguantato uno dei 54 posti disponibili su 1600 candidati. La promozione è stata possibile grazie all’atteggiamento dei suoi superiori. Il Fatto ha ottenuto copia dello stato matricolare del vicequestore scoprendo che non è stato sottoposto a nessun procedimento disciplinare nonostante nella sezione dedicata ai procedimenti giudiziari sia riportata ogni tappa fino alla condanna definitiva.
Nel giudizio su V. nulla è cambiato. Dal 2003 al 2010 il giudizio è rimasto lo stesso: ottimo. L’allora questore di Milano Marangoni il 12 maggio 2012 ha scritto una lettera al capo della Polizia Manganelli, nella quale non si fa cenno alla condanna: “Eccellenza mi permetta di richiamare la sua attenzione sulla figura del vice questore aggiunto della Polizia di Stato, dottor V.. Vice questore aggiunto dal 15 marzo 2001 dopo aver ricoperto incarichi di dirigenza in diversi ufffici... è un funzionario molto affidabile, che ha sempre reso a livelli di eccellenza e offerto collaborazione piena, leale, efficace, contribuendo a rafforzare sempre più il prestigio dell’Istituzione, operando con grande attenzione e sensibilità anche nei rapporti umani, sia all’interno che all’esterno dell’ufficio. Le sue doti di equilibrio unitamente a quelle di intelligente determinazione l’hanno visto sempre molto capace nell’attività di direzione del proprio Ufficio... è un funzionario completo sul quale l’Amministrazione può fare il massimo affidamento peraltro potendo egli ricoprire senz’altro il grado”. Un comportamento che, secondo Filippo Bertolami, dirigente del sindacato di Polizia Italia Sicura, costituisce un’omissione. Perché i capi di V., compreso l’allora Questore Marangoni, dovevano prendere provvedimenti disciplinari nei confronti del funzionario secondo la legge del 2001.
“LA CONDANNA comporta l’applicazione nei confronti del funzionario, ove già non ricorrano i presupposti per l’applicazione di un’altra sanzione disciplinare, della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione all’entità del risarcimento. E, non avendo ottemperato a questo obbligo, lo stesso Marangoni anziché essere promosso prefetto, avrebbe dovuto essere sospeso dal servizio con privazione della retribuzione”. Lo dice la legge, ricordano i sindacati. Ma che cosa rispondono i vertici della Polizia? “La sentenza condanna V.. Nel corso del procedimento giudiziario era altresì emerso che Calderini aveva ottenuto l’idoneità psicofisica al rilascio dell’autorizzazione di polizia certificata da due sanitari condannati poi per false attestazioni. In Cassazione, il sostituto pg aveva, nella sua requisitoria conclusiva, richiesto l’annullamento della sentenza d’appello senza rinvio, perché il fatto non costituisce reato, definendo la condanna “illogica e contra legem” e contestando il nesso di causalità fra la procedura di rilascio e l’evento assolutamente non prevedibile in quanto determinatosi per evidente raptus di follia dell’autore. Alla luce di tali aspetti il questore di Milano ha ritenuto di non ravvisare comportamenti censurabili sotto il profilo disciplinare per V., valutazione condivisa anche dal vertice del Dipartimento di P.S. cosicché non è stata adottata alcuna iniziativa disciplinare nei confronti del funzionario di cui trattasi”. Insomma, i vertici della Polizia hanno ignorato la sentenza della Cassazione. Questo è il nodo della questione, non l’operato di V. (per questo non riportiamo il suo nome), poliziotto stimato e apprezzato dai colleghi. “Il Gabinetto del Ministro era stato avvertito”, assicura Bertolami. Cancellieri spiega: “Non ero stata informata, valuterò la questione”.