Alessandro Rivali, Libero 16/11/2012, 16 novembre 2012
E LA STAMPA ITALIANA INTIMÒ: «NON SI DÀ LA MANO AI FASCISTI»
[Nel 1958 il Miglior Fabbro, dopo 12 anni di manicomio criminale, sbarcò a Napoli L’accoglienza fu dura, ma Montanelli lo difese: «Può far paura solo agli sciocchi»] –
Nel marzo del 1958 le agenzie batterono la notizia straordinaria: Ezra Pound, il Prometeo incatenato della poesia del Novecento, stava per essere liberato dopo più di 12 anni di manicomio. La novità fece il giro del mondo e accese le «terze pagine» dei giornali italiani. Per ricostruire le vivaci polemiche di quei giorni si può consultare l’archivio poundiano del castello di Brunnenburg, dove tuttora vive la figlia Mary, infaticabile custode e interprete dell’autore dei Cantos. Nelle sale del castello insieme a una miriade di cimeli (...) si conservano stracolmi faldoni di rassegne stampa internazionali. Gli articoli conservati nella carpetta «1958», l’anno del «gran ritorno», sono innumerevoli e anche una campionatura rapsodica consente una vivida rievocazione del clima di quei giorni oscillanti tra entusiasmo e ostilità.
Tra i quotidiani che diedero rilievo alla notizia ci fu la Stampa, che affidò a Gino Tomajuoli un ampio servizio. Così attaccava il pezzo in prima pagina, martedì 25 marzo 1958: «Ezra Pound, il maggior poeta americano vivente, condannato per alto tradimento nel 1946 per aver parlato durante la guerra da Radio Roma... sarà molto probabilmente rilasciato e autorizzato a stabilirsi in Italia, vicino a Rapallo» (e un sottotitolo annotava «prudenzialmente»: «Sostenne i nazisti parlando da Radio Roma»).
L’articolista era molto «comprensivo» verso le autorità statunitensi: «Dal punto di vista strettamente legale, il governo si è già mostrato estremamente generoso verso Pound, perché la accusa di tradimento, sebbene non provata in giudizio, comporta la pena di morte o lunghe pene detentive: nel 1946, invece, per poterlo rinchiudere in un manicomio, Pound venne dichiarato “eccentrico, querulo ed egocentrico”, afflitto da “anormale senso di grandezza e da personalità che con l’andare degli anni diverrà soggetta a ulteriori distorsioni poiché già ora egli soffre di paranoia”» (...).
Una manciata di giorni più tardi, Enzo Fabiani su Gente (9 aprile) si spendeva con coraggio per Pound, sottolineando il suo carattere indomito (...) anche in manicomio. A suo parere, il procuratore della Corte suprema degli Stati Uniti, Rogers, sarebbe stato ricordato dai testi di storia di letteratura come «il liberatore » del poeta che aveva sempre combattuto contro usura e ipocrisia: «Ezra Pound non è il tipo da aver paura di restare ancora, e di morire, in manicomio. A 73 anni quest’uomo che ha lottato per tutta la vita contro l’ipocrisia, l’usura e il mercimonio; che ha composto le opere più alte e sconvolgenti del nostro tempo (...) non scenderà, coerente come sempre e disposto a pagare di persona per le proprie idee, al compromesso. Egli preferirà senza dubbio vivere prigioniero tra i pazzi criminali, piuttosto che “graziato” tra i saggi ipocriti, i quali sarebbero i primi a disprezzarlo».
Su un versante opposto si pose il critico Giancarlo Vigorelli (...) che non aveva mai digerito il saggio Jefferson and/or Mussolini: sul settimanale Rotosei (16 maggio 1958) si premurò di ricordare ai suoi lettori che non sarebbe stato tra quelli che avrebbero accolto Pound con una stretta di mano. (...).
In questa scia al vetriolo si poneva anche lo scrittore Giovanni Titta Rosa, mediocre poeta e ascoltato critico (Pasolini lo trafiggerà con un micidiale epigramma) che sulle pagine del Corriere lombardo (10 - 11 maggio) estendeva la critica anche al «Pound» letterario: «Vorremmo dire (...) che Ezra Pound in fatto di conoscenza storico-critica della tradizione poetica, diciamo pure, mediterranea e latamente europea è un dilettante (...)».
Mario Pannunzio in un articolato intervento del 15 aprile spiegò invece le incongruenze della detenzione di Pound: non temeva il suo ritorno, anche se il suo saluto non era certo benevolo. (...).
Indro Montanelli si schierò con quelli che non erano intimoriti dal ritorno di Pound e intervenne il giorno successivo alla sua liberazione: «Stando a quel che si legge, Ezra Pound sta per tornarsene a casa con una bella patente di matto che lo libera dall’accusa di tradimento, per la quale l’hanno tenuto dodici anni in gabbia. Gli americani non escono bene da questo affare [...]. Io spero che Pound torni. E per due ragioni. Prima di tutto perché è un vecchio amico e un vecchio uomo che, dopo tutto quel che ha passato, ha il diritto di finire i suoi giorni nella terra che, sia pure per equivoco, ha eletto come patria. Eppoi perché le sue opinioni politiche non le temo: come non m’influenzarono allora, così non c’è pericolo che m’influenzino oggi. Delle opinioni politiche di un poeta possono aver paura solo gli schiocchi [sic], e gli americani lo sono stati. Ma non vedo perché dovremmo imitarli» (Corriere della sera, 20 aprile 1958).
Ma cosa attendeva Pound in Italia? Lui stesso e i famigliari sospiravano quella libertà attesa da anni e al contempo immaginavano un periodo fecondissimo di lavoro sui Cantos. La Divina Commedia made in Usa attendeva di essere conclusa. Brunnenburg e le montagne del Tirolo potevano apparire il coronamento di un sogno. (...).
Alla fine Pound arrivò. Una piccola cabina con tre cuccette della nave Cristoforo Colombo ospitò il poeta, la moglie Dorothy e la giovane segretaria texana Marcella Spann.
Pound sbarcò il 9 luglio a Napoli scuotendo i cronisti con un’affermazione poi diventata celebre: «Tutta l’America è un manicomio»: «La mia fortuna è stata quella di aver trascorso tutto il periodo del mio soggiorno americano in manicomio. Oggi è l’unico posto ove si possa vivere negli Stati Uniti» (Il Giorno, 10 luglio 1958). Lino Rizzi, per il Candido, diede un vivacissimo ritratto del nuovo Pound «italiano»: «(...) Il vecchio Pound, dritto, impettito, solenne nonostante l’abbigliamento fantasioso e audace dell’ex emigrato che ha fatto fortuna, procedeva svelto sotto le ampie volte della stazione marittima e rispondeva pazientemente a tutti, alle domande più strane e impertinenti. […] Chi è il più grande poeta vivente? Ezra Pound fu la risposta». (...).
Da Genova Pound passò a Verona e arrivò in Tirolo su una Fiat 1400 nera alle 15.50 del 12 luglio. (...). Ai giornalisti disse che avrebbe parlato quando si fosse sentito riposato. Quanto tempo era necessario? Quattro mesi fu l’autodiagnosi del poeta.
I primi tempi a Brunnenburg seguirono le più rosee prospettive. Il castello sembrava la nuova Ez-University, il regno di Utopia. (...).
Anche la poesia riprese a scorrere. Pound iniziò a prendere appunti per quelli che sarebbero diventati i Drafts & Fragments of Cantos CX-CXVII. Probabilmente tra i punti più alti della sua ricerca insieme ai Pisan Cantos. (...). Queste poesie vennero annotate su sei quaderni colorati, tre azzurri e tre con le regioni italiane, che furono poi donati dal poeta a Marcella Spann e nel 2010 sono stati riprodotti in una splendida quanto costosa (350 $) edizione anastatica da Glenn Horowitz.
Per festeggiare il suo 73° compleanno e il 50° della pubblicazione di A lume spento l’Azienda autonoma di soggiorno di Merano organizzò una mostra bibliografica e iconografica. Per l’occasione Pound vestì di blu, ma con una camicia di taglio sportivo e dal colletto floscio. Calzava stivaletti marroni appoggiandosi a un bastone con il manico d’avorio. (...).
Il tempo felice del Tirolo purtroppo non sarebbe durato. Sarebbe arrivato il tempus tacendi e anche la famosa dichiarazione a Daniel Cory secondo cui l’insieme dei Cantos sarebbero stati «un pasticcio» (1966).