Piero Bianucci, La Stampa 18/11/2012, 18 novembre 2012
ANCHE LE LUMACHE, NEL LORO PICCOLO... [
memorizzano come noi. Dalle funzioni cerebrali di livello inferiore a quelle dell’uomo, le ricerche di Eric Kandel, neuroscienziato e umanista] –
Nato a Vienna nel 1929 da genitori ebrei proprietari di un negozio di giocattoli, fino al 1939 Eric Kandel abitò a pochi passi dalla casa di Sigmund Freud, il fondatore della psicoanalisi. Dieci anni. Gli altri 70 li ha vissuti negli Stati Uniti, dove padre e madre lo mantennero agli studi vendendo vestiti. Oggi è cittadino americano. Ma se gli parlate dell’infanzia, vi dirà che il suo cuore «batte ancora a tempo di valzer», la vita intellettuale della Vienna a cavallo tra XIX e XX secolo gli è rimasta nel sangue.
In mezzo Kandel ha fatto tante cose, e tra queste, nel 2000, ha vinto il premio Nobel per la Medicina. L’ha ottenuto per una scoperta straordinaria fatta in modo straordinario. Con esperimenti su una goffa lumaca di mare priva di guscio, l’ Aplysia californica , ha svelato un meccanismo fondamentale della memoria, quello con cui fissiamo i ricordi.
Psichiatra e neurobiologo, Kandel è arrivato alla scienza da una laurea in Lettere all’Harvard College. Ora che ha 83 anni, il passato viennese torna e lo avvolge. Sogna le atmosfere incantate della vecchia capitale austriaca, i pomeriggi che le belle signore trascorrevano davanti a una tazza di caffè e un piatto di pasticcini. Studia l’arte di Klimt, audaci nudi in atteggiamenti autoerotici che svelano i segreti della femminilità, e rivisita l’inconscio, il più importante lascito di Freud. Tutto questo, però, alla luce delle neuroscienze e con l’aiuto di quelle macchine - risonanza magnetica funzionale, tomografia a emissione di positroni - che permettono di vedere quali zone del cervello si attivano quando guardiamo un’opera d’arte. Ne è nato un libro affascinante che solo lui, umanista e neurobiologo, poteva scrivere, L’età dell’inconscio. Arte, mente e cervello dalla grande Vienna ai nostri giorni (Raffaello Cortina, pp. 622, € 39).
Le ricerche di Kandel sul funzionamento della memoria a lungo termine sono un perfetto esempio di riduzionismo scientifico. Con cento miliardi di neuroni, il nostro cervello è terribilmente complesso. Negli Anni 50 i fisiologi litigavano sulla sede della memoria. Chi la metteva in una zona del cervello, chi in un’altra. Nel 1953 un paziente epilettico di 27 anni noto con le iniziali H.M. subì l’asportazione di una parte del cervello comprendente quasi tutto l’ippocampo e l’amigdala. H.M. guarì o quasi dall’epilessia e mantenne la sua personalità, ma perse la capacità di fissare nuovi ricordi. Fu come se la sua vita si fosse fermata a 27 anni. Che cosa avviene quando registriamo un ricordo? In che cosa differiscono la memoria a breve termine con cui componiamo un numero telefonico appena letto e la memoria a lungo termine dove registriamo per sempre un episodio, una nozione, una esperienza? È l’ippocampo la sede dei ricordi, come sembrava indicare il caso di H.M.?
Kandel capì che per affrontare questo problema complicatissimo bisognava lavorare su un modello biologico semplice. Lo trovò nell’ Aplysia californica , un mollusco dell’isola di Catalina con appena 20 mila neuroni, un cinquemilionesimo del cervello umano. Scoprì che l’ Aplysia , dopo essere stata più volte stimolata con un getto d’acqua o una lieve scossa elettrica, ne registra il ricordo modificando stabilmente alcune sinapsi, cioè alcuni contatti tra i neuroni. Un meccanismo biologico identico agisce negli animali superiori e nell’uomo. Insomma, grazie alla plasticità cerebrale, nel suo piccolo l’ Aplysia memorizza come noi e, se non fosse troppo antropomorfico, potremmo dire che «impara». Oggi è noto che i ricordi non hanno una sede privilegiata, sono sparsi in varie zone della corteccia cerebrale. L’ippocampo ha la funzione di smistarli, non di registrarli. Ecco perché H.M. non ha più potuto fissare nuovi ricordi dopo l’asportazione di questa regione del cervello.
Cambiare campo di ricerca, per chi ha avuto il Nobel, è un atto di coraggio. Kandel l’ha fatto. Salutata la lumachina di mare, si è messo a studiare le funzioni cerebrali di livello superiore. Freud ci ha detto che la maggior parte dell’attività cerebrale è inconscia, un dato che le neuroscienze moderne confermano. L’arte, sia nell’atto creativo sia nella fruizione, ha una forte componente non consapevole, che tuttavia può essere indagata con gli stessi strumenti del riduzionismo, applicando le più recenti conoscenze su percezione visiva, memoria, emozioni, senza dimenticare l’empatia, legata ai «neuroni specchio», non a caso scoperti dal nostro Giacomo Rizzolatti mentre osservava il cervello di uno scimpanzé sotto risonanza magnetica. Muovendo da queste basi e passando per le scoperte di altri premi Nobel come Hubel e Wiesel, sotto l’effetto della nostalgia viennese, il libro di Kandel sonda il mistero della bellezza e della creatività artistica in Klimt, Kokoschka e Schiele.
Si sono fatti test di tipo sia linguistico sia matematico sotto risonanza magnetica. Sembra che la creatività coinvolga l’emisfero destro della corteccia cerebrale, e precisamente la parte anteriore del giro temporale superiore destro e la corteccia parietale destra. Tre decimi di secondo prima del magico istante dell’intuizione creativa, il «momento Aha!», come dicono gli scienziati, si verifica una esplosione di attività cerebrale ad alta frequenza. Ciò «suggerisce scrive Kandel - che soluzioni creative richiedono al cervello di integrare inconsciamente le informazioni, permettendo così di vedere il problema sotto una nuova luce». Sono risultati preliminari. Ma il cervello incomincia a comprendere la propria genialità.