Raffaello Masci, La Stampa 18/11/2012, 18 novembre 2012
MA IL “SALVAVITA” È OBBLIGATORIO SOLTANTO PER LE SOCIETÀ DI CALCIO
Per salvare la vita di una persona colpita da arresto cardiaco bastano 680 euro (più Iva, s’intende). Nello specifico, quel signore colpito da un malore sul treno Frecciarossa tra Torino e Milano, giovedì scorso, con ogni probabilità sarebbe stato salvato se a bordo ci fosse stato un defibrillatore il quale - per l’appunto - viene venduto su Internet - alla cifra che si diceva. Con l’aggiunta delle seguenti specificazioni: «Garanzia di 5 anni, piastre e batterie incluse. Chiunque può usarlo perché ha comandi audiovisivi che guidano il soccorritore durante l’utilizzo». Insomma costa poco e non ci vuole nessuna laurea per adoperarlo.
Ogni anno, secondo l’Istituto superiore di sanità, ci sono in Italia 73 mila arresti cardiaci improvvisi, 200 al giorno, uno ogni 7,2 minuti. Almeno un terzo delle persone colpite da questi fenomeni potrebbe essere salvato con l’ausilio di un defibrillatore. Dunque perché non dotarsene in tutte le strutture che prevedono un forte afflusso di folla?
La risposta è perché ogni Regione fa come vuole, essendo autonoma nella gestione della sanità pubblica, e il ministero, con le sue «leggi romane» può solo fornire indirizzi, consigli, auspici e - beninteso - fondi per incentivare la cosa. E così, in effetti, ha fatto: Una legge del 2001 (numero 120 del 3 aprile) sollecitava le regioni in questo senso e forniva anche 1000 euro di bonus fiscale ai soggetti che avessero comprato la miracolosa macchinetta.
Nel febbraio del 2011, il senatore dell’Idv Elio Lannutti, ha presentato un disegno di legge affinché quell’auspicio sancito dalla legge dieci anni prima diventasse obbligo, e che di un defibrillatore si dovessero dotare porti, aeroporti, stazioni ferroviarie, carceri, stadi, teatri, supermercati, palestre, scuole, università e farmacie. Ma da allora il ddl giace - disatteso negli scaffali del Senato.
«Non che tutte le regioni siano rimaste insensibili a questa esigenza - dice Giorgio Carbone, medico e presidente della Società di medicina d’urgenza - per esempio il Veneto, l’Emilia, il Piemonte, più altre regioni, hanno dato disposizioni e finanziamenti per formare personale idoneo all’uso di queste apparecchiature, con corsi molto semplici, di 4 ore. Noi stessi come società di medicina d’urgenza ci siamo proposti di formare il personale viaggiante sui treni». Il problema è che le iniziative sono a macchia di leopardo sul territorio e che la parola «obbligo» non appare mai, e quindi tutto viene demandato alla buona volontà. Con una sola eccezione: il defibrillatore deve essere adottato dalle società calcistiche. C’è un decreto ministeriale in proposito, ma c’è voluta la morte choc del calciatore venticinquenne del Livorno Piermario Morosini, nell’aprile scorso.