Stefano Semeraro, La Stampa 19/11/2012, 19 novembre 2012
Nello sport c’è poco da fare: le dimensioni contano. Dunque è facile capire perché una disputa sulla lunghezza dell’attrezzo di gioco stia sconvolgendo un Paese malato di golf come gli Stati Uniti, dove le 18 buche sono un passatempo popolarissimo e interclassista, che accomuna l’uomo della strada e il capo della Casa Bianca
Nello sport c’è poco da fare: le dimensioni contano. Dunque è facile capire perché una disputa sulla lunghezza dell’attrezzo di gioco stia sconvolgendo un Paese malato di golf come gli Stati Uniti, dove le 18 buche sono un passatempo popolarissimo e interclassista, che accomuna l’uomo della strada e il capo della Casa Bianca. Da ieri su tutti i giornali americani è scoppiata la polemica sui cosiddetti “long putter”, sui bastoni allungati che piacciono tanto a George W. Bush e che in fondo anche un egualitarista convinto come Barack Obama non disdegnerebbe di utilizzare. Sotto accusa, tanto per capirci fra non iniziati, è il tipo di ferro che serve per spingere la pallina definitivamente nella buca quando ci si trova sul green, la parte di praticello più regolare che sta attorno alla buca. Lo strumento in questione si chiama putter e a rischiare a breve il bando da parte delle autorità sportive è la sua variante vitaminizzata, il long putter. Ovvero un putter più lungo che si può ancorare alla pancia (belly putter), allo sterno (broomhandle) o addirittura al mento e manovrare così come fosse un pendolo. Sfruttando il movimento di spalle e braccia ed evitando fastidiosi tremolii alle mani quando il nervoso, lo stress iniziano a farsi sentire. Evoluzione tecnica – come i racchettoni nel tennis, gli sci sciancrati, le ruote lenticolari dei ciclisti – o doping tecnologico, come i supercostumi del nuoto? Il confine, come ci insegnano le protesi di Pistorius (ammesse) e gli iPod per maratoneti (banditi), nello sport è spesso confuso e ambiguo. In realtà il primo long putter fu brevettato nel 1965 da Richard T. Parmely, che lo battezzò Slim Jim, ma per anni è stato utilizzato in maniera sporadica dai professionisti. Il primo ad impugnare con assiduità la bacchettona magica nel tour furono, negli sregolati anni’80, Johnny Miller e Charlie Owens fra i senior. I long putter furono però considerati per decenni una sorta di inoffensivo, inestetico aiuto tecnico per anziani professionisti ormai incapaci di cavarsela con gli attrezzi tradizionali, o un innocuo asso nella manica per i dilettanti ansiosi in cerca di facili vittorie sugli amici. Come appunto George W. Bush, avido golfista e uomo a cui notoriamente piace vincere senza badare troppo al sottile. «Il Presidente – ha detto la Espn – aveva trovato la felicità sul campo da golf quando aveva iniziato a usare un putter da 52 inches (circa 134 cm, ndr) che si appoggiava al petto. Durante i suoi anni alla Casa Bianca le autorità del golf non hanno fatto nulla per cambiare le regole. Non lo ammetteranno mai, ma la USGA e la R&A non davano l’impressione di voler interferire con lo stile di gioco dell’uomo più potente del mondo». Uno scenario suggestivo, anche se a inquietare la R&A, cioè l’ente scozzese che di concerto con l’associazione golfistica americana (USGA) decide il bello e il brutto tempo in quanto a regolamenti, più che alle illustri ma amatoriali smanie di Bush junior è dovuto ai sempre più frequenti successi in gare ufficiali degli adepti dei long putter - una setta che si allarga sempre più. Dopo tre superstar come Sam Torrance, Bernard Langer e Rocco Mediate, al club dei «puttoni» si sono aggiunti con successo Adam Scott (l’ex fidanzato della tennista Ana Ivanovic) e Web Simpson, ma a far esplodere definitivamente una polemica che scorreva sottotraccia da quasi 50 anni sono stati gli exploit di un fuoriclasse del gioco come il 43enne Ernie Els, e di un ragazzino di 14 anni, Guan Tianlang. Els, dopo essersi convertito ha infatti aumentato considerevolmente la sua percentuale di put vincenti (da 112 a 181) e soprattutto nel luglio scorso ai British Open è diventato il terzo professionista in 12 mesi ad aggiudicarsi un major maneggiando un superbastone – il primo era stato Keegan Bradley ai PGA Championships del 20011 -, mentre il precoce cinesino Guan ha trionfato fra gli «amateurs» negli Asian Championships. Allarme rosso. Il giorno dopo la vittoria di Els in Gran Bretagna Peter Dawson, direttore esecutivo della R&A ha avvisato le legioni di fan dei long putter sparse in tutto il mondo che il loro attrezzo preferito potrebbe avere i giorni contati, e al suo fianco si sono schierati alcuni mammasantissima dei green come Arnold Palmer, Tom Watson e Tiger Woods, 29 major in totale vinti senza imbarazzanti prolunghe. I putter «da pancia», sostengono i templari dell’ortodossia, riducono lo stress mentale e di fatto snaturano lo sport, svalutando una delle qualità fondamentali di un buon golfista: il sangue freddo. «Quando devi giocarti il put decisivo di un torneo – ha dichiarato Brandt Snedeker, il miglior putter del Circuito PGA di quest’anno – le mani ti tremano e il nervoso sale. Non è la stessa sensazione che provi con uno di quei “cosi” ben piantato nella pancia». I sostenitori della modernità replicano, un po’ avventurosamente, che il rovescio a due mani nel tennis che qualche decennio fa sembrava una moda oramai è diventato moneta corrente. In realtà, se il baseball ha da tempo bandito le mazze metalliche, anche nel tennis certi trucchetti come la doppia accordatura (la famosa racchetta «spaghetti») non sono consentiti. Keegan Bradley, il Mosè del Long putter, non ha però intenzione di arrendersi, e ha fatto capire che in caso di bando potrebbe convocare i suoi legali. Secondo i malignetti dell’Espn, a questo punto, Bradley & Co farebbero bene a regalare long putter anche a Barack Obama, il successore di Bush che nelle sue frequenti capatine al golf gioca il putt con la sinistra, e che «con un handicap di 18, ha bisogno di tutto l’aiuto possibile». In fondo, è sempre questione di centimetri.