Varie, 19 novembre 2012
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 19 NOVEMBRE 2012
La berlina grigia su cui viaggiava con il figlio centrata da un missile israeliano mentre si trovava sulla strada principale di Gaza City: così è morto mercoledì Ahmad Jabari, comandante militare di Hamas. Fabio Scuto: «L’assassinio mirato di Ahmad Jabari è quello di più alto livello nella Striscia dal 2008. Il comandante delle Brigate Ezzedine al Qassam ha avuto un ruolo chiave nella gestione del rapimento di Shalit, il soldato israeliano catturato nel 2006 e tenuto in ostaggio a Gaza per oltre 5 anni, fino allo scambio con oltre mille detenuti palestinesi imposto a Israele nel 2011». [1]
Da giorni la tensione stava salendo nel sud di Israele con un milione di abitanti costretti nei rifugi giorno e notte, mentre piovevano missili dalla Striscia. La morte di Jabari ha dato il via alla campagna militare israeliana “Colonna di Nuvole”. [1] «Si apriranno le porte dell’inferno» è stata la promessa di vendetta del portavoce delle brigate Ezzedine al-Qassam. [2] Venerdì Hamas ha attaccato Gerusalemme. Scuto: «Nemmeno Saddam Hussein, nella sua pazza isteria nella Prima Guerra del Golfo nel 1991, aveva osato sparare contro il terzo luogo santo dell’Islam». [3]
Quando i missili di Hamas piovono sulla Città Santa per tre religioni, il messaggio è chiaro. Mario Platero: «Un intero impianto geopolitico che passa per la Siria, l’Iran, le primavere arabe, la Palestina, il Libano è già saltato». [2] Hamas fa tutto ciò che può per far cessare l’occupazione israeliana che dura da 45 anni, Israele fa tutto ciò che può per difendere i propri cittadini dai ripetuti attacchi di Hamas. Lo scrittore israeliano David Grossman: «Entrambi hanno le loro proprie giustificazioni per ciò che stanno facendo, entrambi sentono di avere ragione, ma, per l’osservatore esterno, tutto ciò appare una follia». [4]
I gruppi guerriglieri mediorientali, quando non usano gli attentatori suicidi, hanno un solo modo per esercitare pressione su Israele: i missili. Guido Olimpio: «Hamas, come l’Hezbollah, si è preparata da anni a questo tipo di guerra. E in modo meticoloso, per avere sempre un ordigno da sparare oltre il muro di Gaza. Cada dove cada, tanto l’effetto destabilizzante è assicurato. Se a Tel Aviv aprono i rifugi e a Gerusalemme suonano le sirene è la prova che quell’arma poco precisa ha raggiunto il suo scopo». [5]
Quattro anni dopo “Piombo fuso” Hamas vive con diverso stato d’animo la prospettiva di un nuovo conflitto con Israele. Renzo Guolo: «Allora aveva a fianco Iran, Siria e Hezbollah, alleati del movimento islamista sunnita in funzione antisraeliana. Oggi Hamas trova sponda non tanto nel frantumato “Asse della Resistenza” – i rapporti con la Siria di Assad nemica della Fratellanza locale sono chiusi – ma con storici alleati degli Stati Uniti come l’Egitto». [6] Con la destituzione al Cairo di Hosni Mubarak e l’elezione del presidente Mohamed Morsi è finito l’isolamento di Gaza. [7]
Hamas è un’emanazione, sia pure distinta, della Confraternita dei Fratelli musulmani da cui proviene Morsi. [7] Sin dall’elezione, il nuovo presidente egiziano discute sulla revisione degli accordi di pace con Israele (Camp David 1978, il Trattato fu firmato nel 1979). Jonathan Schanzer, analista di Intelligence statunitense: «C’è una evidente volontà di arrivarci da parte dei Fratelli Musulmani ma gli israeliani hanno fatto capire con chiarezza che non sono disposti ad addentrarsi su questo terreno. E gli Stati Uniti sono decisamente contrari.». [8]
Gli egiziani sanno di avere dei limiti. Ugo Tramballi: «Il primo ministro Hisham Qandil che venerdì ha visitato Gaza “in segno di solidarietà verso Hamas”, è lo stesso che qualche giorno prima aveva postato su Facebook il suo programma economico: aumentare del 60% in sei mesi le riserve valutarie egiziane ora a un arido livello di 15,5 miliardi di dollari; raddoppiare in un anno la crescita economica. Obiettivi che non possono essere raggiunti senza l’aiuto del Fondo monetario, degli americani e degli europei. Un sostegno incondizionato ai razzi di Hamas renderebbe l’aiuto piuttosto complesso». [9]
I rapporti tra Hamas e l’Egitto post rivoluzionario sono migliori di prima, ma le due agende non coincidono. Nabil Fahmy, ex ambasciatore egiziano a Washington: «L’Egitto sta con i palestinesi se sono attaccati ma non ha in agenda la promozione del conflitto con Israele. Credo comunque che, seppure in apparenza irritante per Israele, il nuovo attivismo egiziano non sarà positivo solo per gli arabi perché nel lungo termine anche Israele si avvantaggerà di una potenza che diversamente da Usa e Europa difende i palestinesi ma proprio per questo può poi chiedere compromessi coraggiosi». [10]
Israele ed Egitto hanno una priorità comune. Hassan Abu Taleb, decano degli esperti del Center for Political and Strategic Studies del Cairo: «Molte fonti confermano che da mesi i due eserciti e i due servizi segreti lavorano insieme per contrastare l’avanzata jihadista al confine giacché ormai anche il Cairo si è convinto dell’impossibilità di dialogare con i salafiti e con i loro alleati di al Qaeda. Hamas è una pedina importante in questo scenario, dal momento che a Gaza fronteggia la medesima minaccia da parte dei salafiti». [11]
I gruppi salafiti che operano a Gaza sono fazioni formate da palestinesi e volontari da altri Paesi arabi per portare nella Striscia una “Primavera jihadista”. Maurizio Molinari: «Dall’inizio di ottobre sono stati loro a scatenare l’offensiva di razzi contro Israele contestando la dirigenza di Hamas per l’atteggiamento troppo morbido contro il “nemico sionista”». Uccidendo Jaabari, il premier israeliano Benyamin Netanyahu puntava a bloccare il patto salafiti-Brigate Al-Qassam, spingendo la leadership politica di Hamas a restare ancorata all’Egitto di Morsi. [12]
Netanyahu vuole far capire a Morsi che l’atteggiamento verso Hamas è la cartina DI tornasole nei rapporti tra i due paesi. Guolo: «Un tassello decisivo per gli israeliani, anche in previsione della deflagrazione di un conflitto regionale a effetto domino, che prenda il via dalla vicenda del nucleare iraniano, dalla crisi siriana o da un incidente libanese». [6] L’attacco all’Iran è per il momento rinviato sine die. Valli: «La conferma di Barack Obama ha allungato i tempi». [7]
La pazienza non è una virtù di Netanyahu, che ha sentito subito il bisogno di dimostrare (all’Iran, all’Egitto, alla Siria) che né la sua volontà politica né la sua forza militare si sono arrugginite. Valli: «Inoltre, come quattro anni or sono, ai tempi dell’operazione “Piombo fuso”, Israele è alla vigilia di nuove elezioni». [7] Netanyahu ha cominciato alla sua maniera la campagna elettorale per le legislative di gennaio con l’obiettivo di «ottenere un successo propagandistico ad uso interno» (Vittorio Emanuele Parsi). [13]
Radicalizzando il quadro regionale, si dice, Netanyahu vuol provocare «quell’effetto di rally ’round the flag sul quale il premier israeliano conta per rendere ancora più difficoltoso il formarsi di una coalizione elettorale nel litigioso fronte della sua opposizione politica» (Parsi). [17] Non tutti condividono questa lettura. Nahum Barnea, principe degli editorialisti israeliani: «I politici non amano operazioni di questo tipo, sotto elezioni, perché si sa che è facile perderne il controllo. Il primo giorno, sembrava una gran vittoria. Il secondo, i tre morti e le sirene a Tel Aviv hanno già cambiato le carte in tavola». [14]
Note: [1] Fabio Scuto, la Repubblica 15/11; [2] Mario Platero, Il Sole 24 Ore 17/11; [3] Fabio Scuto, la Repubblica 17/11; [4] f. s., la Repubblica 16/11; [5] Guido Olimpio, Corriere della Sera 17/11; [6] Renzo Guolo, la Repubblica 17/11; [7] Bernardo Valli, la Repubblica 16/11; [8] Maurizio Molinari, La Stampa 17/11; [9] Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 17/11; [10] Francesca Paci, La Stampa 17/11; [11] Francesca Paci, La Stampa 16/11; [12] Maurizio Molinari, La Stampa 15/11; [13] Vittorio Emanuele Parsi, La Stampa 16/11; [14] F. Bat., Corriere della Sera 16/11.