Luigi Irdi, il Venerdì 16/11/2012, 16 novembre 2012
IO, IL JOHN WAYNE DI MIRAFIORI STO CON SERGIO, MA…
TORINO. Allora, fingiamo che lei sia uno storico della Fiat (in fondo non siamo lontani dal vero). Cosa scriverebbe del carro cingolato Sergio Marchionne?
«Copierei la storia di 30 anni fa, tornerei al 1980».
Quando lei, dottor Carlo Callieri, insieme con Cesare Romiti, avete fatto del sindacato uno spezzatino?
«È un’interpretazione sbagliata».
Ah si? Mi dica quella giusta, lei che c’era.
«Si continua a evocare quel periodo come l’annus horribilis dei sindacati, ma la verità è che si verificarono condizioni nuove del mercato. Cambi fissi, niente più svalutazioni competitive, stop alla scala mobile, stop all’espansione del deficit pubblico. Insomma, le aziende dovevano adeguarsi a un nuovo mercato o morire». Rieccolo, il mercato. Uno pensava che con la crisi del neoliberismo, Occupy WallStreet la Decrescita Felice e tutto il resto, il mercato duro e puro fosse rimasto un totem solo nella testa di Sergio Marchionne. L’ad della Fiat lo usa invece per spiegare più o meno l’essenza platoniana del mondo, per cui se la legge italiana impone alla Fiat di assumere 19 operai a Pomigliano, lui ne liquida altri 19. È il mercato baby, e non puoi farci niente. Carlo Callieri, 71 anni, una vita da capitano d’industria spesa alla Fiat ai tempi dei «35 giorni» del 1980 e della «Marcia dei 40mila» (contribuì a ideare e a organizzare la protesta dei «capi»), quando lo chiamavano John Wayne per i suoi modi da duro, oggi è presidente della Miroglio di Alba e pensa che lo scontro tra Fiat e Cgil Cisl e Uil di quegli anni non fu una rottura ideologica, bensì una risposta - ancorché brusca - alle necessità del nuovo mercato.
Callieri, figuriamoci ora che il mercato è globale...
«Infatti oggi è peggio. Certo, c’è chi dice che questo comporti gravi costi per chi lavora...»,.
C’è chi lo dice, sì.
«Ma se non si correggono i costi, anche quello del lavoro, non si lavora affatto».
Vorrebbe sostenere che in questa storia dei 19 operai di Pomigliano non c’è nulla di ideologico? Lo pensa sul serio?
«C’è molta ideologia da una parte e dall’altra. Ma l’ideologia è fuffa. Vediamo la sostanza delle cose».
Vediamola.
«La vicenda dei 19 è qualcosa di estremamente sgradevole». Come minimo, diciamo.
«Certo, Però, che vuol dire assumere altri 19 operai? Vuol dire aumentare i costi del lavoro dell’ 1 per cento, sui duemila lavoratori di Pomigliano. È una quantità modica? Beh, se ci scanniamo sull’ 1 per cento di Iva, un motivo ci sarà. Il personale di un’impresa non è una variabile indipendente come una volta si pretendeva fosse il salario».
Lo vede che è ideologia?
«L’ideologia è di chi è rimasto al ’68. Certo, quando c’è il muro contro muro si verificano cose spiacevoli. Ma chi ha cominciato?».
Me lo dica lei. Lei è lo storico. Ha cominciato Marchionne?
«Non lo so, So che chi difende l’impresa ha il dovere di agire. Poi magari ci mette cattiveria, determinazione».
Chiamiamola determinazione, se preferisce.
«Lei mi parla di Marchionne, ma io voglio ricordare che fino a poco tempo fa, sembrava che fosse il salvatore, ora gli danno addosso come matti. Non entro in questo dibattito».
Lei, come si sarebbe comportato?
«Francamente non le so dire».
Non scappi.
«Ci sono momenti in cui le relazioni industriali le gestiscono i magistrati: negli Anni 70 come oggi. Forse per incapacità delle parti di trovare soluzioni».
Ripeto: cosa farebbe?
«Senta, io posso provare a leggere nei sentimenti e le dico che, poiché voglio bene alla Fiat, tendo a difendere chi la difende, non a chi cerca di distruggerla. È una posizione sentimentale, lo ripeto».
Sta dicendo che il sindacato vuole distruggere la Fiat?
«Se si vogliono attribuire all’azienda sovraccosti, generare un clima di conflittualità permanente, creare antagonismo, mi spieghi lei come si possono costruire vetture di lusso».
Scusi, ma che c’entrano i Suv?
«Le auto di lusso si possono costruire se esiste un clima di immedesimazione di chi lavora con gli obbiettivi dell’impresa. Basta andare alla Ferrari e vedere come vanno lì le cose, e lì c’è la stessa Fiom che c’è a Pomigliano».
Mi lasci tradurre un po’ grossolanamente. Lei mi sta dicendo che se non si fanno Suv alla Fiat dipende anche dal fatto che non c’è il clima culturale giusto, quello del lusso?
«No. lo dico che quella delle auto ad alto valore aggiunto è una bella scommessa e penso che i lavoratori e i sindacati dovrebbero darsi da fare per accettarla».
Secondo lei come va a finire questa storia?
«Speriamo bene...».
E più in generale, come giudica le relazioni industriali in Italia?.
«Bene, perché il decentramento contrattuale, che sta tanto sulle balle alla Fiom e alla Cgil, sta facendo bene al Paese».
La Fiat ha fatto del suo...
«La Fiat con la delicatezza di un carro armato, ha messo in moto un processo positivo».
Non le sembra che Marchionne abbia annunciato urtbi et orbi grandi investimenti, per poi rimangiarseli?
«Gli investimenti non si sono rivelati possibili, è diverso».
Vogliamo allora dire che è stato un po’ leggerino?
«Credo si sia pentito di aver annunciato Fabbrica Italia. Ma lo ha fatto in piena buona fede».
E in piena buona fede operai e impiegati hanno votato ai referendum di Pomigliano e Miraflori...
«D’accordo, è arrivata la crisi. Ma perché dobbiamo negare che Marchionne fosse convinto del progetto? Ha dovuto cambiare piani. Insomma, io non me la sento di dare addosso né agli uni né agli altri: sono prigionieri ciascuno del proprio mondo».
Ma è terribile! Lei descrive una situazione immutata e immutabile.
«La storia si ripete».
Dottor Callieri, ma lei ci lavorerebbe con uno come Marchionne?
«lo ho lavorato con Romiti, non vedo perché non potrei lavorare con Marchionne. Ho sempre difeso la mia autonomia di giudizio, gli altri mi hanno sopportato. Marchionne mi sopporterebbe?».
Una buona domanda, dottor Callieri.