Marco De Martino, VanityFair 14/11/2012, 14 novembre 2012
IL TEMPO DELLE PESCHE
Se è vero che, quando a una certa età si perde la testa per qualcuno molto più giovane, di solito lo si fa per ritrovare anche la propria giovinezza, allora è chiaro perché il generale David Petraeus, 60 anni, si facesse chiamare da Paula Broadwell, 40, con il soprannome che gli avevano dato al liceo. Peaches. Pesche. Un po’ per le guance perfette e vellutate, un po’ per la fresca cordialità, un po’ per la perfida legge che governa l’assegnazione
dei soprannomi: perché già si capiva che tanta perfezione dovesse per forza nascondere qualcosa di più reale, di più difettoso, di più umano.
Ora che finalmente si è rivelata la sua parte umana, è difficile pensare che David Petraeus, il guerriero intellettuale che ha cambiato il corso della guerra in Iraq e in Afghanistan, finisca la sua carriera veramente così. Non con una nuova impresa degna dei libri di storia ma con una storiella simile a quella di un qualsiasi marito annoiato. Con lui che inizia a tradire la moglie Holly proprio nel settembre del 2011, quando torna da lei dopo una vita al fronte, e assieme alla direzione della Cia prende una casetta nei sobborghi della Virginia accanto a quella di tanti impiegati del governo che lavorano a Washington. Con la giovane amante Paula, sua biografa ufficiale, che gli spia la posta in Gmail. Con un’altra donna, Jill Kelley, che Paula minaccia facendo scattare
un’indagine dell’Fbi. E con tutto quello che ancora non sappiamo, compresi senza dubbio messaggini segreti mandati appena dopo avere ordinato un’azione clandestina in Iran.
Allora è vero: succede comunque. Succede anche quando la storia comincia con un severissimo padre olandese che ha nome e cognome da gladiatore romano, Sixtus Petraeus, che da piccolo ti ripete in continuazione: «Risultati, ragazzo, risultati». Succede anche a chi come David non aveva alcuna difficoltà ad accontentare il papà, un capitano di lungo corso che durante la seconda guerra mondiale attraversava l’Atlantico su vascelli mercantili. O a compiacere mamma Miriam, una bibliotecaria che gli ha trasmesso l’amore per i ibri.
A Cornwall-on-Hudson, il paesino dei Petraeus a 70 chilometri da New York, ricordano ancora che a David veniva dato un punteggio per tutto quello che faceva, non solo a scuola ma anche faccende domestiche, attività sportive, escursioni coi boy scout, messe in chiesa: «Si chiamava “punteggio
dell’uomo completo”, ed era la cosa che David prendeva più sul serio», racconta l’amica d’infanzia Heather O’ Dell.
L’accademia militare di West Point si trova a soli dieci chilometri da Cornwall, e quindi fu naturale per David frequentarla e distanziarsi un po’ dall’accento pesante del padre diventando un americano vero. Conobbe lì la moglie Holly, che era figlia di uno dei dirigenti dell’Accademia, e capì che la carriera militare sarebbe stata la sua vita. Era il migliore in tutto: non solo aveva i voti più alti ma faceva parte della squadra di sci e di quella di calcio, ala sinistra. E poiché non gli bastava, completò – assieme a 9 studenti soltanto sui 900 che l’avevano iniziato – anche un corso di Medicina, non perché gli interessasse diventare dottore, solo per spirito di competizione.
Anche vincere peraltro non gli bastava: doveva farlo davanti a tutti, e lo teorizzava. «Dichiarare il proprio obiettivo in pubblico ti spinge a raggiungere il risultato», diceva aumentando la sua fama di micromanager. Una volta si mise davanti a una divisione di fanteria con in una mano un manuale e nell’altra un megafono, e urlò pagina per pagina le istruzioni su come oliare il motore di una jeep.
Alla fine sulla divisa di Petraeus erano scritti tutti i trionfi di 37 anni di carriera militare: le quattro stelle da generale sulle spalle, lo stemma dei Ranger conquistato a West Point dopo un addestramento di nove settimane, la fascetta gialla di capo del Central Command che sovrintende sui 250 mila militari americani in Medio Oriente, l’aquila urlante della 101esima Airborne division che guidò a Mosul nel 2003 durante una delle poche battaglie vinte quell’anno dagli americani in Iraq, lo stemma di addestratore paracadutista.
Ma non ci sono su quella divisa verde gli episodi che hanno reso Petraeus una leggenda tra i militari americani. Il fatto che dopo West Point abbia preso una laurea in Relazioni internazionali a Princeton in un terzo del tempo che impiegano gli altri, e contro il volere dei professori. O che a conquistare tutto ciò non sia stato un Rambo ma un uomo dalle spalle strette, il portamento un po’ curvo, l’aria da topo di biblioteca.
Sulla divisa non era scritto della flebo che si staccò da solo pochi giorni dopo l’operazione che subì nel 1991, quando in un’esercitazione venne colpito da un proiettile al petto: le flessioni che avrebbe fatto davanti alle infermiere per essere dimesso forse fanno parte della fantasia. Come il racconto che circola su Internet sul miracolo attribuito a Petraeus quando andò a trovare in ospedale il tenente Brian Brennan che da tre settimane giaceva in coma, le gambe amputate, dopo essere stato colpito da un’autobomba in Iraq. Al generale sarebbe bastato urlare «Currahee!», lo slogan della 101esima divisione preso in prestito dagli indiani Cherokee, per risvegliare il tenente. Che è stato poi fotografato mentre accompagnava con protesi alle gambe il generale Petraeus in una delle sue corse mattutine.
A Bagdad il generale Petraeus amava correre almeno dieci chilometri sotto il sole a 50 gradi anche con Sadi Othman, il taxista newyorkese che dopo avere visto cadere le Torri Gemelle si era arruolato, e lo aiutava a conquistare la popolazione locale senza il bisogno delle armi. «I soldi contano quanto i proiettili», ha detto Petraeus spiegando la sua dottrina antiguerriglia. «I guerrieri si riconoscono non tanto da chi combattono ma da quanti alleati riescono a farsi: ogni sera bisogna andare a letto con un po’ meno nemici della sera prima».
Con frasi come queste aveva rivoluzionato il modo di fare la guerra, ma si era procurato anche non pochi nemici. Petraeus, di orbita repubblicana, aveva sofferto il passaggio dall’amministrazione di George W. Bush, che gli aveva affidato le sorti della fallimentare guerra in Iraq, alla gestione di Obama, democratico, che quella guerra voleva chiuderla. Aveva chiesto di diventare comandante supremo dei Joint Chief of Staff ma il presidente democratico lo aveva dirottato sulla Cia, ed è naturale chiedersi se sia proprio una coincidenza che le dimissioni arrivino due giorni dopo un’elezione che Obama ha sofferto fino all’ultimo anche per il modo in cui la Cia, diretta da Petraeus, ha gestito la crisi del consolato di Bengasi, assaltato l’11 settembre scorso e dove è stato assassinato l’ambasciatore americano Christopher Stevens.
Una crisi di cui Hillary Clinton si è presa per intero la responsabilità, arrivando a rinunciare alla carica di segretario di Stato nel secondo mandato di Obama. Ma che ha messo la Cia (che proprio nel consolato di Bengasi aveva uno dei suoi principali centri operativi) nell’occhio del ciclone.
Forse la spiegazione è molto più semplice. Comincia così: un giorno del 2006 si presenta al vecchio condottiero sul viale del tramonto una donna giovane e bella che come lui ha fatto l’accademia militare di West Point col massimo dei voti, che come lui si è laureata in una università prestigiosa come Harvard, che come lui è una militare esperta in antiterrorismo e intelligence, che come lui è una fanatica del fitness, che come lui ama correre ogni mattina, che come lui è sposata con due figli. Si riconoscono, cominciano a scambiarsi email e – non si sa bene dove o quando – nasce qualcosa. E in quel qualcosa lui non cerca solo la propria giovinezza e lei non solo un mentore: entrambi sembrano cercare un’occasione per confessare la loro storia segreta.
Lei scrive una biografia – di lui – che è in realtà una smaccata dichiarazione pubblica d’amore, tanto che quando va al Daily Show di Jon Stewart a parlarne, il comico a un certo punto la interrompe: «La cosa più controversa in questo libro è capire se Petraeus sia bellissimo o incredibilmente bello». Lui si fa fotografare assieme a lei ovunque, la porta embedded in Afghanistan, dove lei sta tre mesi nel corso di sei viaggi. Molti sanno della loro relazione. E quando non è più possibile tenere il segreto, lui che ha già interrotto la relazione e forse l’ha già raccontata alla moglie o forse no, invece di negarla manda subito una email in cui ammette tutto. Una email che sicuramente interrompe una carriera gloriosa, ma che forse lui ha già messo tra gli atti più eroici della sua vita.