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 2012  novembre 16 Venerdì calendario

HOLLANDE IN RETROMARCIA


A Parigi, l’edicola nei pressi dell’Eliseo espone le copertine della settimana. Tutte con la foto di François Hollande: "Il lupo cattivo ha dei dubbi", titola "Le Point"; "Abbiamo davvero un presidente?", domanda "L’Express". I media saranno anche crudeli ma sei mesi dopo la sua elezione, i francesi si chiedono se il presidente sia l’uomo adatto alla situazione.
La crisi è sotto i nostri occhi: la disoccupazione aumenta, l’industria automobilistica vacilla, Peugeot e Renault affondano, il deficit commerciale si aggrava e i piani di ristrutturazione si moltiplicano. Il morale dei francesi è sceso ai minimi. Gli indici di popolarità del presidente e del suo primo ministro sono crollati tra pasticci, rinvii, misure annunciate e poi annullate, rivalità sbandierate ai quattro venti e comunicati contraddittori. A Parigi molti se la ridono del dilettantismo del governo, della debolezza del primo ministro che fatica a imporsi e moltiplica le sue gaffe, sia pure per onestà intellettuale. Convinto per troppo tempo che gli sarebbe bastato apparire come un presidente "normale", grazie a uno stile diverso dal nervoso attivismo del suo predecessore, Hollande non ha compreso che Sarkozy aveva accelerato in Francia un cambiamento d’epoca. Nell’era di Internet e di Twitter i francesi si attendevano dall’Eliseo una reattività che non mancava né a Jacques Chirac né a François Mitterrand, i suoi due modelli politici. Sarkozy ha reso isterica la vita politica tanto da esasperare gli elettori, ma la passività del nuovo presidente li sconcerta (in sei mesi è diventato il presidente più impopolare della V repubblica).
Non c’è solo la forma. C’è anche la sostanza. Dopo il discorso di Bourget, nello scorso gennaio, quando il candidato Hollande ha dato il meglio di sé, non vi è più stato un intervento presidenziale che abbia lasciato il segno. Affabile, mellifluo, senza apparenti asperità, il presidente continua a comportarsi come il primo segretario del Partito socialista. Abile tattico, abituato a destreggiarsi fra le correnti, continua a concepire la politica come un mondo dove soltanto i partiti e i sindacati hanno diritto di cittadinanza, senza dare spazio agli attori della vita economica reale.
La presidenza francese non crea sconcerto solo in patria. A Berlino, l’ex cancelliere Gerard Schröder ha confessato recentemente che la politica dei suoi compagni socialisti francesi gli è del tutto oscura: «Riportare l’età pensionabile a 60 anni, sia pure su scala ridotta, è una follia. Nessuna riforma strutturale è stata avviata e i mercati finanziari se ne renderanno conto ben presto». E il ministro delle Finanze tedesco Schauble sarebbe così preoccupato da avere chiesto ai suoi consiglieri di lavorare a un piano di riforme per la Francia. A Bruxelles, un esperto ha tracciato, nello stesso spirito, il bilancio dei primi sei mesi del mandato presidenziale socialista: «Molti piccoli passi nella direzione sbagliata».
L’esecutivo si difende. Il governo ha fatto adottare il patto di bilancio europeo, ha fissato al 3 per cento del Pil il tetto del deficit pubblico e ha impostato il prossimo bilancio decidendo l’aumento delle imposte e una limitazione delle spese. Poi il 6 novembre scorso, ha reagito con forza al rapporto sconfortante sulla perdita di competitività della Francia prodotto da Louis Gallois, l’ex presidente del colosso aerospaziale Eads. L’esecutivo si aspettava che venisse tenuto nascosto. Invece, a sorpresa, il primo ministro ha annunciato una serie di misure per rilanciare l’economia attraverso provvedimenti capaci di creare 300 mila posti di lavoro: aumento dell’Iva al 20 per cento dal 2014, crediti d’imposta pari a 20 miliardi di euro nell’arco di tre anni per le imprese al fine di alleggerire il costo del lavoro e incoraggiare gli investimenti, nuovi tagli, non precisati, della spesa pubblica per un ammontare di 10 miliardi. Un "patto", dunque, piuttosto che uno "choc". Non ancora abbastanza per rassicurare Bruxelles e Berlino, che pure applaudono. Ma troppo per l’ala sinistra del Partito socialista, per i comunisti e per alcuni sindacati, con i Verdi che si interrogano: possiamo restare al governo?
Questa volta, Hollande sembra avere preso consapevolezza dell’urgenza e del margine di manovra di cui dispone: la sinistra controlla l’Assemblea Nazionale, il Senato e la quasi totalità delle regioni, e così ha davanti a sé quattro anni e mezzo senza test elettorali importanti.
Rivendicando la sua discendenza da Jacques Delors, si è presentato per molto tempo come un riformista, se non proprio come un vero socialdemocratico: un termine che continua a infastidire una certa sinistra francese. Ma ecco che oggi ammette la trasformazione. Sotto le pressioni contraddittorie della crisi economica e della domanda sociale, ha scelto di diventare un presidente riformatore, compiendo una virata verso il social-liberalismo fin qui incarnato in Europa da Schröder e da Tony Blair: uno Schröder meno brutale e un Blair meno carismatico. Intanto nel governo le lingue si sciolgono: «Con questi sondaggi e queste grandi difficoltà della maggioranza», dice un collega a un ministro in carica con portafoglio, «ci resta soltanto una soluzione: andare fino in fondo con le riforme». Altri ministri si affrettano subito ai microfoni per rivendicare la loro parte di responsabilità per questa svolta già definita ideologica. Pierre Moscovici, titolare del dicastero dell’Economia e delle finanze, non esita a parlare di una "rivoluzione copernicana" mentre il suo rivale, Arnaud Montebourg, ministro dello Sviluppo economico e del "rilancio produttivo", chiede come contropartita alle imprese impegni ad assumere personale. Manuel Vall, responsabile degli Affari interni e unico valore sicuro del governo, non dice niente ma sorride: considerato all’epoca un pericoloso discepolo di Tony Blair e un sostenitore dell’economia di mercato, aveva già preconizzato in un suo libro misure analoghe.
Ben venga, dunque, questa svolta social-liberale. Ma allora, perché non accelerare il passo, borbottano gli insoddisfatti, secondo i quali il problema del finanziamento del sistema di sicurezza sociale resta irrisolto e la congiuntura non migliorerà prima del 2014? Questo significherebbe dimenticare che esiste un problema di coesione sociale in un Paese già traumatizzato dal costante aumento della disoccupazione e della precarietà, oltre a trascurare il fatto che i francesi restano ancora oggi uno dei popoli al mondo più ostili al mercato.
Alcuni commentatori non esitano a prevedere un’evoluzione dell’Eliseo verso lo stile Sarkozy, accompagnata da una sceneggiatura volta a valorizzare l’attività di Hollande. In quanto capo di un Paese che continua a credere nell’onnipotenza dello Stato, il presidente non può abdicare alla sua funzione principale: impersonare l’azione del governo agli occhi dei francesi, assumendosene la responsabilità e spiegando il senso della sua azione, soprattutto quando le riforme rientrano sempre più nel quadro di quella politica di rigore di cui egli aveva negato la necessità per conquistare l’Eliseo. Si è infine deciso lo scorso martedì a sottomettersi alla prima conferenza stampa del mandato. È stato un esercizio indispensabile e pericoloso con cui si è lanciato più nell’autogiustificazione che nella pedagogia. Ciò che propone - ha detto - non è una revisione della sua azione di governo ma un patto che s’iscrive coerentemente in una politica condotta in nome della giustizia sociale.
Oserà Hollande infine diventare presidente, rinunciando ai calcoli politici e tracciando una rotta per evitare che la Francia sprofondi nella crisi? Al di là delle convinzioni ideologiche, se mai ne restano, il vero problema riguarda l’evoluzione delle nostre vecchie democrazie europee. Per arrivare oggi a riformarle è necessario trasgredire, alla maniera di un Mario Monti, le regole su cui si basano, spezzando il condizionamento dei partiti politici e dimostrando una profonda conoscenza delle realtà economiche e delle istituzioni di Bruxelles. Al di là delle Alpi, il fatto può sorprendere, ma qualche giorno fa una rivista francese titolava in prima pagina: "Mario Monti, il modello". Aggiungendo, malgrado tutto, un punto interrogativo.