Denise Pardo, l’Espresso 16/11/2012, 16 novembre 2012
CONTI, CONTESSE E CONTI ESTERI
Si racconta che nei giorni del sequestro - una sciocchezzuola, beni per 65 milioni di euro - il conte Vittorio, figlio di Umberto e Marta, indagato insieme a un’altra manciata di Marzotto, non si sa se nella tenuta in Toscana o in Inghilterra in qualche terra-shire, fosse assai dolente per non aver cacciato abbastanza anatre, lui che non perde mai un colpo (da cacciatore). E che suo fratello Matteo, un elegante e bel quarantenne formato bon sai, il sorriso di sua madre Marta, scapolo d’oro e piuttosto incallito, indagato anche lui insieme al cugino Andrea Donà Dalle Rose, l’inquieto discendente di tre dogi mica uno, preparasse le valigie per una settimana a New York, post Sandy. In effetti non è meraviglioso l’autunno a Manhattan? Tanto signorile aplomb («La legge è stata rispettata, si chiarirà tutto» ha dichiarato) sarà senz’altro dovuto alla sicurezza di essere al centro di un orribile equivoco, da parte di bolsceviche toghe rosse probabilmente, quello di aver eluso le tasse, secondo gli inquirenti, sulla plusvalenza della vendita azionaria pari al 29,62 per cento di Valentino al fondo Permira usando proibiti paradisi fiscali. «Un evidente abbaglio» ha tuonato il collegio difensivo, la nota coppia Piero Longo-Niccolò Ghedini anche per legami veneti convocata per l’occasione.
Il colpo di scena mediatico, tredici indagati, oltre ai suddetti anche Maria Rosaria (e il suo compagno Ferdinando Businaro), Cristina, Margherita e Diamante Marzotto, e poi Isabella e Rossana Donà Dalle Rose che ha orripilato metà del fronzuto albero genealogico estraneo alla vicenda, ha riportato alle cronache, un tempo felicemente popolate dalle gesta della contessa Marta, una famiglia simbolo dell’imprenditoria italiana, arrivata alla sesta generazione, quasi due secoli di capitalismo operoso e anche illuminato, segnata da una recente antologia di divisioni, alleanze, separazioni tipiche delle dinastie, per non parlare delle strepitose tipicità. Per esempio la memorabile colazione nella settecentesca villa da cinquanta stanze a Trizzino, in provincia di Vicenza, ora sotto sequestro, del conte Giannino (da poco deceduto, non ha voluto un funerale ma una festa con canti e vino), mai salito su un’auto che non fosse Ferrari, per cinquecento immigrati, simbolico ringraziamento di quanto facciano per l’economia italiana. O il lato dannunziano di Matteo, gli atterraggi in aliante e le case seppellite di drappi rossi e damaschi. E il primogenito di Pietro, Umbertino che partecipò al festival di Sanremo con "Conta chi canta" cioè un conte. E la bellissima contessa Albertina, un collo da Cecil Beaton, giornalista e moglie di Gaetano, figlio di Vittorio Emanuele, presidente anche di Pitti Immagine, conte di diritto se ci fosse la monarchia, gli altri lo sono di riporto o di rimbalzo, che ha messo on line la collezione del suo formidabile guardaroba.
Sette tra fratelli e sorelle i figli di Gaetano (senior) che hanno partorito 25 figli, a loro volta sposati e con almeno due, tre eredi in un tipico pasticcio da stirpe, cioè chiamarsi con gli stessi nomi, Umberto, Vittorio o Gaetano, arrivati alla rispettabile cifra di sessanta-settanta parenti, e non c’è un conto preciso anche a causa dei doppi o tripli matrimoni di ciascuno. Per carità, gente al limite della sterilità se paragonata agli Agnelli che come ebbe a dire l’avvocato in una delle riunioni dell’accomandita con il suo italiano annoiato: «Eravamo 25, ora siamo 250».
Obiettivamente, un feuilleton fatto e finito. Un milione di volte meglio della famiglia Kardashian, non ne parliamo di "Revenge", visto che subito dopo il sequestro, è arrivata la notizia dell’ufficio di Donà Dalle Rose a Valdagno andato a fuoco: documenti che era meglio andassero in fumo? Pare proprio che non ci fosse granché. Al centro di tutto una galassia imprenditoriale di grande successo e di grande valore, ora frazionata giù per tutti li rami: Marzotto abbigliamento (con la Valentino ora ceduta e Hugo Boss, gallina dalle uova d’oro), Marzotto tessile, Zignago Santa Margherita, azienda di vetri e di vini, Chardonnay e Pinot grigio leader in America, questi i principali asset.
Un tempo il comandante era il conte Pietro, tre mogli (Stefania Searle, Mariolina Doria dè Zuliani e Anna Maria Agosto Perin sposata senza dire nulla nemmeno la sera prima al fratello Paolo a cena con lui), 4 figli, che ora è fuori da tutto e fa il gastro imprenditore d’alto rango. Ha comprato Peck, gioielleria delle salsamenterie milanesi, la busta con il conto è di carta pesante quanto quelle dei Windsor, deplora l’imbarazzante impasse dei suoi parenti e non nasconde un "veloavevodetto". Un uomo dal carattere difficile: in azienda non voleva essere salutato da nessuno e guai ad accendere la luce nei corridoi. Quando il neo presidente di turno, ignaro, parcheggiò la propria auto al posto riservato a quella del vice presidente lo affrontò: «Allora lo dica che qui lei vuole cambiare tutto». Pietro era il conte rosso perché sosteneva Massimo Cacciari contro Giancarlo Galan, suo fratello Giannino diede un milione di euro al Cavaliere, ma poi se ne pentì pubblicamente. Paola, la primogenita di Marta piuttosto fascinosa, è molto attiva su Facebook, segue Beppe Grillo, applaude a Marco Travaglio ed è politicamente impegnata con l’Idv di Antonio Di Pietro: «Ci credo anche perché lo seguo fin dal principio».
Nata a Valdagno, la storia finanziaria e industriale dei Marzotto è complicata spalmata com’è tra figli, figliastri, cugini, nipoti, conti zii. Per non parlare delle molteplici parentele acquisite. Rosanna Donà Dalle Rose è moglie di Antonio Puri Purini, ex consigliere diplomatico di Carlo Alberto Ciampi ed ex ambasciatore a Berlino. Beatrice, la figlia di Paola e del conte Carlo Borromeo, è redattrice al "Fatto Quotidiano" ed è legata a Pierre Casiraghi, figlio di Caroline di Monaco. Le sorelle Lavinia, Matilde, Isabella sono sposate rispettivamente: a John Elkann, Antonius Furstenberg e Ugo Brachetti Peretti. Paola ha preso ufficialmente le distanze dalla vicenda della presunta evasione dei fratelli e cugini, sottolineando la sua estraneità, quella di suo padre Umberto e «della stragrande maggioranza della famiglia Marzotto» e pubblicato i laboriosi comandamenti del nonno Gaetano. Si racconta che gli accertamenti fiscali siano partiti per una querelle sull’asse ereditario tra Gemma, seconda moglie di Umberto Marzotto e i figliastri e che solo ora sia stato trovato l’accordo e sia tornata la pace. Ma la contessa (Gemma) ha smentito.
L’unità familiare si spacca nel 2005 con un via vai di quote e di azioni. In primis quelle della Valentino, vendute al fondo Permira una notte alle cinque, al centro degli appetiti di due cordate. Una è quella di Donà &C (i figli di Italia Marzotto, Andrea e le sorelle Rosanna e Isabella) alleati agli eredi di Umberto e Giannino. L’altra è capitanata da Gaetano con i fratelli Luca, Stefano, Niccolò e con Marco Donà Dalle Rose, il fratello di Andrea. In mezzo, la finanziaria Canova fondata insieme all’amico Dario Segre dal manager del gruppo Antonio Favrin, un tipo così abile da ritrovarsi pieno di azioni e poi di dobloni da diventare l’ago della bilancia delle operazioni di famiglia nella girandola di partecipazioni che vanno e tornano.
Pietro cede le sue quote nella Valentino a Paolo e Paolo, ora a capo di un colosso nel campo delle uniformi, sposa la strategia della cordata Donà e vende. A ricomprarne una quota arriva, invece con un colpo di scena, il cugino Gaetano. In una girandola di opa e contro opa circolano cifre da capogiro: dai 100 milioni di fatturato di Zignago (gestita alla grande da Gaetano e Luca) ai 610 milioni per l’ultima e definitiva vendita del marchio Valentino. Mentre nel copione di uno di più longevi esempi di capitalismo familiare italiano, s’infilano nuove partecipazioni straordinarie. Quelle di fondi sovrani, per esempio: alla fine è l’emiro del Qatar Al Thani a diventare l’azionista di Valentino. O di bellezze a dir poco misteriose come la kazaka Goga Ashkenazi, al secolo Gaukhar Erkinova Berkalieva, ora fidanzata di Lapo Elkan e fresca acquirente, non si conosce la cifra, del marchio di alta moda Madeleine Vionnet, rilevato a suo tempo da Matteo a cui ha lasciato la gestione.
Il tutto passando da una villa di famiglia all’altra, da una tenuta di caccia a un castello da cinquanta vani, dalle residenze in metà del mondo agli chalet di Cortina D’Ampezzo alle altane del Canal grande, avendo come rumore di fondo il rombo delle moto di Matteo, pilota anche della Parigi-Dakar, quello della collezione di Ferrari, il ritmo del galoppo dei cavalli montati da Maria Rosaria e Margherita, amazzoni devote quasi professioniste. «Capisco la curiosità per i reali d’Inghilterra ma per noi...» commentò un giorno il conte Paolo, o il conte Pietro o il conte Vittorio... Meglio di Downton Abbey.